TRAUMI
E INFORTUNI
PREVENIRE
GLI INFORTUNI
Buona
parte dei frequentatori delle palestre tende ad allenarsi senza un
minimo di cognizione di causa. Quanti di quelli che si allenano con i
pesi fanno un appropriato riscaldamento? Quanti si allenano con
carichi adeguati? E quanti a fine workout eseguono esercizi di
stretching?
Sicuramente molto pochi.
Per non parlare poi di quelli che già dal primo giorno di allenamento iniziano a "tirare" come disperati.
Non c'è da meravigliarsi quindi se queste persone vanno incontro a infortuni.
Sicuramente molto pochi.
Per non parlare poi di quelli che già dal primo giorno di allenamento iniziano a "tirare" come disperati.
Non c'è da meravigliarsi quindi se queste persone vanno incontro a infortuni.
Ci
sono alcuni semplici accorgimenti da prendere per allenarsi in
sicurezza. Accorgimenti che spesso vengono visti come perdita di
tempo, ma che al contrario ci consentono di raggiungere il nostro
obiettivo, quale che sia, senza correre rischi inutili.
PERIODO
DI CONDIZIONAMENTO
Per
condizionamento muscolare intendiamo azioni motorie capaci
di far lavorare le strutture muscolari ad un livello di contrazione
allenante, cioè diverso da
quello normale.
L’allenamento di condizionamento muscolare in palestra corrisponde ad un allenamento generale ad intensità variabile che sia la risultante di un lavoro svolto attraverso esercizi con sovraccarichi e attraverso l’utilizzo di macchine isotoniche, isocinetiche e di cardiofitness.
Ricordiamo che il condizionamento con sovraccarichi si divide in due tipologie:
condizionamento con carico naturale, quando la resistenza al movimento è data dal proprio corpo (saltare, correre, eseguire trazioni alla sbarra, ecc) o da segmenti di esso (sollevare un braccio, abdurre una gamba, ecc); condizionamento con sovraccarico, quando viene utilizzato un corpo esterno (pesi, zavorre, ecc).
Al condizionamento muscolare sono correlati alcuni importanti principi fisiologici che favoriscono il verificarsi degli adattamenti neuromuscolari generati dall’allenamento.
L’allenamento di condizionamento muscolare in palestra corrisponde ad un allenamento generale ad intensità variabile che sia la risultante di un lavoro svolto attraverso esercizi con sovraccarichi e attraverso l’utilizzo di macchine isotoniche, isocinetiche e di cardiofitness.
Ricordiamo che il condizionamento con sovraccarichi si divide in due tipologie:
condizionamento con carico naturale, quando la resistenza al movimento è data dal proprio corpo (saltare, correre, eseguire trazioni alla sbarra, ecc) o da segmenti di esso (sollevare un braccio, abdurre una gamba, ecc); condizionamento con sovraccarico, quando viene utilizzato un corpo esterno (pesi, zavorre, ecc).
Al condizionamento muscolare sono correlati alcuni importanti principi fisiologici che favoriscono il verificarsi degli adattamenti neuromuscolari generati dall’allenamento.
In un’azione motoria, l’equilibrio muscolare è il bilanciamento dello sforzo tra i muscoli agonisti ed antagonisti. In generale, possiamo definire agonista il muscolo che, considerata una posizione di segmento articolare ed un’azione motoria ad esso collegata, esegue il movimento come muscolo più importante, mentre antagonista il muscolo che effettua il movimento contrario al muscolo agonista e che agisce da modulatore (garantisce cioè la giusta direzione del movimento).
Il lavoro di condizionamento muscolare, per essere allenante, deve essere armonico e non generare scompensi, in termini di tono, tra gruppi muscolari.
Non solo, l’equilibrio agonista/antagonista, se ben inquadrato, permette di posizionare le articolazioni correttamente, generando benefici sulla postura nel suo insieme.
Per
quanto riguarda i sovraccarichi, onde evitare problematiche
connesse a traumi o processi
infiammatori, è opportuno
tenere in considerazione quanto segue:
Le cellule muscolari, in presenza di condizionamento con sovraccarichi, riescono ad adattarsi rapidamente ai segnali provenienti dal sistema nervoso (le reazioni neuromuscolari si traducono in maggiore o minore tensione). Le strutture tendinee e legamentose, invece, nell’azione di resistenza ad un sovraccarico, non possono far leva su meccanismi nervosi ma solo sulla proprie strutture, e quindi è necessario attendere che avvengano le dovute trasformazioni biologiche per sopportare nuove e più elevate tensioni. Ne consegue che sarebbe opportuno mantenere un determinato carico per un certo periodo (anche un mese, se necessario) prima di incrementarlo con le tecniche appropriate, perché nonostante la muscolatura sia pronta, occorre fornire a tendini e legamenti il tempo necessario per adattarsi.
Le cellule muscolari, in presenza di condizionamento con sovraccarichi, riescono ad adattarsi rapidamente ai segnali provenienti dal sistema nervoso (le reazioni neuromuscolari si traducono in maggiore o minore tensione). Le strutture tendinee e legamentose, invece, nell’azione di resistenza ad un sovraccarico, non possono far leva su meccanismi nervosi ma solo sulla proprie strutture, e quindi è necessario attendere che avvengano le dovute trasformazioni biologiche per sopportare nuove e più elevate tensioni. Ne consegue che sarebbe opportuno mantenere un determinato carico per un certo periodo (anche un mese, se necessario) prima di incrementarlo con le tecniche appropriate, perché nonostante la muscolatura sia pronta, occorre fornire a tendini e legamenti il tempo necessario per adattarsi.
In
altre parole è un’ attivazione muscolare che serve a preparare il
nostro corpo all'allenamento con i pesi. In genere sono sufficienti
due settimane (3-4 nel caso di persone sedentarie o non più
giovanissime) con carichi bassi
(40-50% del massimale), alte
ripetizioni (12-20), movimenti
lenti e continui.
Inoltre,
in questa fase, sarebbe opportuno concentrarsi su eventuali gruppi
muscolari carenti e
su quelli che notoriamente sono gli "anelli deboli". E' il
caso, ad esempio, della cosiddetta “cuffia
dei rotatori”; una struttura
muscolare finalizzata a stabilizzare l'articolazione della spalla.
Sede della maggior parte dei traumi della spalla, per la quale
esistono esercizi specifici.
A
pancia in giù su una panca, afferrare il manubrio con l'arto
perpendicolare al suolo e portare l'avambraccio in posizione
parallela al suolo; ritornare in posizione di partenza. Il gomito
resta fisso e fa da perno durante tutto l'esercizio.
Stesi
su un lato, con il braccio che poggia sulla panca steso in alto,
afferrare il manubrio con braccio opposto e allontanare l'avambraccio
dal corpo portandolo in posizione parallela al suolo; ritornare in
posizione di partenza. Il gomito va tenuto fermo a contatto con il
fianco e piegato a 90° per tutta la durata dell'esercizio
Stesi
su un lato, afferrare il manubrio con il braccio a contatto con la
panca, tenendo il braccio opposto steso lungo il corpo. Piegare
l'arto che impugna il manubrio in modo che braccio e avambraccio
formino un angolo di 90°, con l'avambraccio parallelo al pavimento e
il braccio a contatto con il busto. Avvicinare l'avambraccio al busto
fino a portarlo perpendicolare al suolo e ritornare in posizione di
partenza.
LESIONI
ALLA CUFFIA DEI ROTATORI
È
il termine usato in anatomia per indicare il complesso muscolo-tendineo della spalla che forma un importante mezzo di fissità e di stabilizzazione
dell'articolazione scapolo-omerale Il nome deriva dal fatto che i grandi tendini proteggono l'intera
articolazione formando una vera e propria cuffia che avvolge la testa
dell'omero.
Tutta
questa mobilità permette l'esecuzione di movimenti molto complessi
ma diminuisce sensibilmente la stabilità
dell'intera regione.
L'articolazione
della spalla è comunque protetta da numerosissime strutture
anatomiche stabilizzatrici capitanate dai muscoli e dai tendini che formano la cuffia dei rotatori. L'apparato
legamentoso e muscolare con il passare degli anni può però andare
incontro a fenomeni degenerativi
e soltanto un'adeguata attività
fisica può mantenerlo efficiente nel tempo.
Quella
che in passato veniva chiamata erroneamente periartrite della spalla (dolore localizzato intorno alla spalla), viene oggi
considerata come un gruppo di diverse patologie dolorose che possono
colpire questa delicata articolazione. Tra tutte queste malattie
l'infiammazione dei tendini che formano la cuffia dei rotatori è
senza dubbio la più frequente. Bisogna inoltre considerare che non
tutti i problemi alla spalla derivano da questo complesso articolare.
Una semplice artrosi cervicale può infatti causare un irradiamento
del dolore anche lungo la spalla ed il gomito.
Tornando
alla cuffia dei rotatori, essa risulta costituita dall'insieme di
quattro muscoli e dai rispettivi tendini:
Superiormente
troviamo il tendine del muscolo sovraspinato,
anteriormente quello del muscolo sottoscapolare e posteriormente i tendini dei
muscoli sottospinato e piccolo rotondo.
Questi
muscoli, con la loro contrazione, stabilizzano la spalla impedendone
la lussazione (fuoriuscita della testa omerale
dalla cavità glenoidea). I tendini piuttosto vasti proteggono
l'intera articolazione formando una vera e propria cuffia che avvolge
la parte superiore dell'omero.
Tra
i quattro muscoli che compongono la cuffia dei rotatori, il
sovraspinato
è quello che si lesiona più frequentemente. In realtà quando si
parla di rottura della cuffia dei rotatori non si fa riferimento a
lesioni di natura muscolare ma
tendinea.
Il
tipo di ferita può variare da un'infiammazione tendinea locale,
senza alcun danno permanente, ad una lesione parziale o completa che
potrebbe richiedere l'intervento di riparazione chirurgica.
In
entrambi i casi si registrerà un deficit più o meno marcato nella
forza di abduzione del braccio. In particolare il soggetto faticherà
a mantenere il braccio sollevato lateralmente tra i 60° ed i 120°.
Degli appositi test per diagnosticare la lesione della cuffia
dei rotatori andranno proprio a testare la risposta muscolare del
paziente in questi angoli di movimento.
TEST
PER LA CUFFIA DEI ROTATORI
TEST DI JOBE: con spalla
abdotta a 90°, anteposta di 30° ed intraruotata con pollici
orientati verso il basso, il paziente deve resistere ad una spinta
verso il basso esercitata dall'esaminatore; è in realtà un test
considerato al limite tra i test per il conflitto e quelli per la
cuffia; la sua positività è determinata dalla comparsa di dolore e
da una diminuzione della resistenza alla spinta ricevuta. Valuta il
muscolo sovraspinato,
ma talvolta la valutazione della debolezza muscolare può essere resa
difficile dalla sintomatologia dolorosa.
TEST DI ADDUZIONE ESTERNA CONTRORESITENZA IN ADDUZIONE: il paziente posto di fronte all'esaminatore con la spalla addotta, in rotazione neutra e gomito flesso a 90° esegue una spinta in extrarotazione contro la resistenza offerta dall'esaminatore; questo test valuta il muscolo sottospinato.
TEST DI PATTE: anche questo test, come il precedente, valuta il muscolo sottospinato; il paziente con la spalla abdotta di 90° e gomito flesso deve eseguire una extrarotazione controresistenza offerta dall' esaminatore posto dietro (figura a sinistra).
LIFT-OFF TEST: con la mano della spalla da valutare posta dietro la schiena, il soggetto deve effettuare una spinta all'indietro controresistenza; in caso di lesione del muscolo sottoscapolare, che questo test indaga, la mano non riesce ad imprimere nessuna spinta.
TEST DI ADDUZIONE ESTERNA CONTRORESITENZA IN ADDUZIONE: il paziente posto di fronte all'esaminatore con la spalla addotta, in rotazione neutra e gomito flesso a 90° esegue una spinta in extrarotazione contro la resistenza offerta dall'esaminatore; questo test valuta il muscolo sottospinato.
TEST DI PATTE: anche questo test, come il precedente, valuta il muscolo sottospinato; il paziente con la spalla abdotta di 90° e gomito flesso deve eseguire una extrarotazione controresistenza offerta dall' esaminatore posto dietro (figura a sinistra).
LIFT-OFF TEST: con la mano della spalla da valutare posta dietro la schiena, il soggetto deve effettuare una spinta all'indietro controresistenza; in caso di lesione del muscolo sottoscapolare, che questo test indaga, la mano non riesce ad imprimere nessuna spinta.
DROP SIGN: è un test
anch'esso di tenuta, spalla abdotta a 90° e massima extrarotazione
possibile con gomito a 90°; se l'esaminatore, posto dietro,
abbandona la mano e vi è una evidente perdita dell'extrarotazione
(>5°) è indicativo di una lesione della parte
posteriore della cuffia
(figura).
TENDINITE
La tendinite è un processo infiammatorio
di uno o più tendini (267 in tutto), le robuste strutture anatomiche
che connettono i muscoli alle ossa; è solitamente causata da traumi
o da un uso intensivo, più raramente da infezioni o malattie
autoimmuni, per esempio l'artrite reumatoide. La tendinite si
verifica più frequentemente alle spalle, ai gomiti, alle ginocchia,
ai polsi e alle caviglie.
Può verificarsi all'inserzione del tendine
sull'osso, oppure in un punto qualsiasi del decorso del tendine; può
interessare anche la guaina che lo riveste e in questo caso si parla
di "tenosinovite". Spesso la tendinite necessita soltanto
di un adeguato periodo di riposo per
guarire. Il sintomo principale è il dolore nella zona colpita, che
può essere accompagnato da gonfiore, più o meno evidente, che
aumenta con il movimento.
La tendinite può essere
legata all'uso eccessivo del tendine, per esempio negli sport che
richiedono movimenti ampi e ripetitivi degli arti o in determinate
professioni (per esempio suonatori di alcuni strumenti musicali).
L'età è un altro fattore di rischio, in quanto con il passare
degli anni muscoli e tendini perdono in parte la loro elasticità.
Si parla
di borsite quando vi è riscontrata l’infiammazione di una borsa,
cioè del piccolo cuscinetto che attutisce gli urti tra due strutture
che si muovono (ossa, muscoli, tendini o pelle). Se un muscolo o un
tendine tende a fuoriuscire dalla sua zona, o preme contro un osso,
le borse servono per proteggerlo dal logoramento e dal sovraccarico.
L’irritazione o l’infiammazione delle borse
è detta borsite (il suffisso “ite”
indica appunto che si tratta di un’infiammazione).
Le
radiografie non mostrano direttamente le borse o i tendini, però
possono essere utili per escludere problemi alle ossa o alle
articolazioni. La risonanza magnetica e le ecografie invece
potrebbero essere utili, ma in genere non sono necessarie né
consigliate.
In
molti casi, le radiografie alla spalla rivelano la presenza di
calcificazioni all’interno della guaina tendinea o intorno
all’articolazione tendinea. La tendinite
della spalla può
quasi sempre essere risolta senza doversi preoccupare dei depositi di
calcio. Molti pazienti infatti presentano calcificazioni nella spalla
che rimangono asintomatiche.
Per non affaticare
eccessivamente i nostri muscoli è opportuno effettuare alcuni
esercizi specifici per rinforzare alcuni importanti gruppi muscolari,
che tuteleranno lo scheletro ed i tendini dagli incidenti più
diffusi nelle palestre.
È necessario quindi rinforzare la colonna lombo-sacrale, con esercizi di stretching, addominali e lombari. Poi rinforzare le ginocchia, con esercizi stabilizzatori, allenando i muscoli estensori e flessori del ginocchio. Così come i glutei e le spalle stesse.
È necessario quindi rinforzare la colonna lombo-sacrale, con esercizi di stretching, addominali e lombari. Poi rinforzare le ginocchia, con esercizi stabilizzatori, allenando i muscoli estensori e flessori del ginocchio. Così come i glutei e le spalle stesse.
FRATTURE
Con
tale termine si indica la perdita della continuità anatomica,
completa o incompleta, di un osso. La frattura viene definita
traumatica,
se è dovuta a un trauma; spontanea o patologica,
se si produce spontaneamente o in seguito a traumi insignificanti in
un osso già colpito da un processo patologico. Le fratture
traumatiche vengono a loro volta distinte in dirette,
se si producono nel punto su cui ha agito il trauma; indirette,
quando si verificano in un punto lontano da quello d'azione del
trauma, oppure in conseguenza di strappi o trazioni violente dei
legamenti, di torsione, flessione ecc. .
Le
fratture possono essere di diversi tipi:
a)
Semplici o chiuse,
quando le parti molli intorno all'osso non hanno subito lesioni;
b) Complicate o esposte, quando le parti molli sono anch'esse lacerate e si è quindi prodotta una ferita cutanea che mette in comunicazione il focolaio di frattura con l'esterno.
b) Complicate o esposte, quando le parti molli sono anch'esse lacerate e si è quindi prodotta una ferita cutanea che mette in comunicazione il focolaio di frattura con l'esterno.
Quest’ultimo
tipo comporta maggiori rischi di
infezioni e
di guarigione imperfetta.
E’
frequente, in caso di frattura, udire il cosiddetto "scroscio"
quando i due frammenti scorrono reciprocamente lungo la linea di
frattura.
Cosa
fare:
Se
la frattura è esposta, il primo intervento consiste nel controllo
dell'emorragia. In generale, è bene chiamare un'ambulanza. In questo
caso non fate nulla, evitate di muovere l'infortunato e limitatevi a
rendere l'attesa più confortevole, per esempio coprendolo con una
coperta. Se l'infortunato non ha perso conoscenza, non accusa dolori
al collo o alla colonna vertebrale ed il polso e la respirazione sono
buoni, si può trasportarlo in ospedale con i propri mezzi: in
quest'ultimo caso è bene cercare di immobilizzare l'osso del quale
si sospetta la frattura.
Cosa
non fare:
Evitare
nel modo più assoluto massaggi più o meno energici della parte
colpita, così come qualsiasi manovra atta a "rimettere a posto"
l'osso spostato;
Evitare
di togliere gli indumenti a meno che non stringano eccessivamente o
ci sia un'emorragia per una frattura esposta; in tal caso è
preferibile tagliarli;
Non
muovere mai un infortunato del quale si sospetti la frattura della
colonna vertebrale poiché il minimo movimento, danneggiando il
midollo spinale, potrebbe avere conseguenze disastrose.
Come
immobilizzare un arto fratturato:
La
fasciatura non deve mai avvolgere il punto della lesione ma deve
sempre essere applicata al di sopra e al di sotto della stessa,
perché il gonfiore dovuto al trauma potrebbe ostacolare la
circolazione;
Se
utilizzate una stecca, tra l'arto lesionato e il supporto, inserite
qualcosa che serva da imbottitura;
La
fasciatura deve essere sufficientemente stretta da impedire il
movimento ma non troppo da impedire la circolazione;
Controllate
sempre il colore delle unghie: se tende a diventare bluastro sarà
necessario allentare la fasciatura.
DISTORSIONI
Le
distorsioni sono lesioni della capsula
e dei legamenti delle
articolazioni, provocate da movimenti "fuori dalla norma"
che portano i capi articolari al di là dei loro limiti fisiologici.
Si può verificare una perdita temporanea del contatto tra i capi
articolari; quando la perdita di contatto è permanente si parla di
lussazione.
Il danno può essere limitato, come accade quando la capsula e i
legamenti vengono stirati, o più seria, con la lacerazione di queste
strutture. Solitamente non si verifica rottura.
Spesso
è dovuta ad un'esagerata escursione dell'articolazione oppure ad uno
spostamento dell'articolazione causato da una direzione innaturale
imposta all'arto.
La distorsione provoca una fuoriuscita di sangue nella sede articolare, che si gonfia ed appare molto arrossata, tumefatta e calda. Compare anche un forte dolore e il movimento è bloccato.
Le storte e le torsioni degli arti sono le più comuni cause delle distorsioni. Le articolazioni più colpite sono la caviglia, il ginocchio e il polso.
La distorsione provoca una fuoriuscita di sangue nella sede articolare, che si gonfia ed appare molto arrossata, tumefatta e calda. Compare anche un forte dolore e il movimento è bloccato.
Le storte e le torsioni degli arti sono le più comuni cause delle distorsioni. Le articolazioni più colpite sono la caviglia, il ginocchio e il polso.
Le
distorsioni sono favorite dalla mancanza di allenamento e da un tono
muscolare insufficiente.
I
sintomi
più comuni di una distorsione sono:
dolore
intenso in corrispondenza dell'articolazione colpita;
limitazione
funzionale, non immediata, ma che aumenta insieme al dolore e alla
tumefazione;
gonfiore
che aumenta gradualmente dopo il trauma; una tumefazione precoce,
invece, di solito è dovuta ad un'emorragia da lacerazione della
capsula e della sinovia.
La
prima cosa da fare è mettere immediatamente a riposo e sollevare
l'articolazione per ridurre il gonfiore, senza massaggiare la
parte colpita. È bene applicare un impacco di ghiaccio sulla parte
dolorante. L'articolazione colpita va fasciata immediatamente con un
bendaggio compressivo, in modo da evitare il formarsi della
tumefazione.
LUSSAZIONE
La lussazione o slogatura è un evento traumatico che causa la perdita dei rapporti reciproci tra i capi articolari di un'articolazione. Lo slittamento a livello cartilagineo delle due estremità ossee è consentito dalla rottura, almeno parziale, della capsula e dei legamenti che stabilizzano l'articolazione. Talvolta a tali lesioni si associano quelle della cartilagine articolare, dei vasi, delle ossa, della cute (lussazione esposta) e dei nervi. Tali rotture contribuiscono ad aggravare ulteriormente la situazione: una lesione cutanea, per esempio, aumenta considerevolmente il rischio di infezione mentre una lesione nervosa si associa ad una perdita di sensibilità e forza muscolare.
La lussazione o slogatura è un evento traumatico che causa la perdita dei rapporti reciproci tra i capi articolari di un'articolazione. Lo slittamento a livello cartilagineo delle due estremità ossee è consentito dalla rottura, almeno parziale, della capsula e dei legamenti che stabilizzano l'articolazione. Talvolta a tali lesioni si associano quelle della cartilagine articolare, dei vasi, delle ossa, della cute (lussazione esposta) e dei nervi. Tali rotture contribuiscono ad aggravare ulteriormente la situazione: una lesione cutanea, per esempio, aumenta considerevolmente il rischio di infezione mentre una lesione nervosa si associa ad una perdita di sensibilità e forza muscolare.
Le
lussazioni si dividono in complete
ed incomplete. Nel primo caso vi
è una netta separazione tra le due superfici articolari, mentre nel
secondo caso i capi ossei rimangono parzialmente in contatto tra di
loro. In entrambi i casi è necessario un intervento esterno per
riportare in sede le due superfici articolari fuoriuscite. Al
contrario se dopo l'incidente le due estremità ossee si
riposizionano da sole non si parla più di lussazione ma di
distorsione articolare.
Le
lussazioni interessano più frequentemente la
spalla (circa il 50% dei casi),
il gomito, l'anca, le dita e la rotula; le
sublussazioni (allineamento dei
capi ossei in sovrapposizione) sono invece più comuni a livello
della caviglia e del ginocchio.
Una
lussazione si manifesta nella stragrande maggioranza dei casi quando
un forte trauma colpisce l'articolazione o quando questa, durante un
movimento, supera il limite della normale mobilità. Non a caso le
articolazioni più colpite sono anche quelle più mobili;
a livello articolare, dunque, mobilità ed instabilità vanno di pari
passo.
Per
questo motivo chi pratica sport come il rugby, l'ippica, lo sci, la
pallavolo, il basket, il wrestling od altri sport di contatto corre
un maggior rischio di subire questo tipo di infortuni. I sintomi
spaziano da: instabilità articolare, impossibilità nei movimenti
che coinvolgono l'articolazione colpita, deformazione articolare
visibile e palpabile, dolore improvviso ed acuto enfatizzato dalla
palpazione, gonfiore, abrasione, cute con ecchimosi.
Nella
fase acuta del trauma, il compito di ridurre la lussazione spetta
esclusivamente al medico che, grazie alle sue conoscenze, potrà
rimettere in sede le superfici articolari senza creare, o comunque
minimizzando, ulteriori lesioni. Talvolta tale manovra viene
effettuata in anestesia locale.
Quando
si subisce una lussazione è importante intervenire tempestivamente
(entro 24-48 ore). Se si tardasse a ridurre la lussazione già dopo
un paio di giorni insorgerebbero infatti dei fenomeni cicatriziali
che renderebbero necessario l'intervento di riposizionamento
chirurgico.
CONTUSIONI
La
contusione
è una lesione che viene causata da una compressione esercitata da un
agente contundente. Gli effetti dell'azione del corpo contundente
possono essere decisamente variabili; possono infatti verificarsi
banali ecchimosi oppure si possono avere problematiche più serie
(lesioni muscolari, vascolari, nervose ecc.).
Le contusioni possono essere variamente classificate; se prendiamo in considerazione la gravità della contusione si distinguono le seguenti tipologie di contusione:
Le contusioni possono essere variamente classificate; se prendiamo in considerazione la gravità della contusione si distinguono le seguenti tipologie di contusione:
contusione
di I grado
contusione
di II grado
contusione
di III grado.
Nella
contusione di I grado
le lesioni sono relative soltanto ai piccoli vasi; il sangue che
fuoriesce da questi ultimi si diffonde infiltrando i tessuti; si ha
quindi la formazione di un'ecchimosi
ovvero una macchia che inizialmente è di colore bluastro e che nel
tempo varia cromaticamente assumendo una colorazione tendente al
giallo ocra.
Nella
contusione di II grado
si ha la formazione di un ematoma,
ovvero una tumefazione (gonfiore) provocata dal fatto che si è avuta
una rottura di una certa entità dei vasi sanguigni; spesso sono
presenti coaguli che al tatto fluttuano.
Nella contusione di III grado vi è una compromissione della vitalità della cute provocata dalla notevole intensità della compressione. Si ha quindi, conseguentemente, la formazione di una necrosi (ovvero la morte di uno strato delle cellule cutanee); inizialmente la cute interessata avrà una colorazione tendente al pallido per poi acquistare, con il trascorrere del tempo, una colorazione nerastra.
Nella contusione di III grado vi è una compromissione della vitalità della cute provocata dalla notevole intensità della compressione. Si ha quindi, conseguentemente, la formazione di una necrosi (ovvero la morte di uno strato delle cellule cutanee); inizialmente la cute interessata avrà una colorazione tendente al pallido per poi acquistare, con il trascorrere del tempo, una colorazione nerastra.
CONTRATTURA
MUSCOLARE
Consistente
in una contrazione involontaria, insistente e dolorosa di uno
o più muscoli scheletrici. Il muscolo coinvolto si presenta rigido e
l'ipertonia delle fibre muscolari è apprezzabile al tatto.
La
contrattura è di per sé un atto
difensivo
che insorge quando il tessuto muscolare viene sollecitato oltre il
suo limite di sopportazione fisiologico. L'eccessivo carico innesca
un meccanismo di difesa che porta il muscolo a contrarsi. Le cause
predisponenti possono essere di natura meccanica e/o metabolica ma
non sono state ancora definite con chiarezza. Ciò che si sa è che
sono in qualche modo correlate ai seguenti fattori:
- mancanza di riscaldamento generale e specifico;
- preparazione fisica non idonea;
- sollecitazioni eccessive, movimenti bruschi e violenti;
- problemi articolari, squilibri posturali e muscolari, mancanza di coordinazione;
La
contrattura è la meno grave tra le lesioni muscolari acute poiché
non causa alcuna lesione
anatomica
alle fibre. Ciò che si verifica è semplicemente un aumento
involontario e permanente del loro tono.
Il
soggetto colpito da una contrattura avverte un dolore modesto e
diffuso lungo l'area muscolare interessata. L'ipertonia
viene percepita piuttosto chiaramente e l'atleta lamenta una mancanza
di elasticità
del muscolo durante i movimenti. La palpazione consente di apprezzare
l'aumento involontario del tono muscolare e di evocare dolore
soprattutto in alcuni punti (trigger point attivi).
Il
dolore è tollerabile e non impedisce il proseguimento dell'attività
sportiva. Tuttavia per allontanare il rischio di complicazioni è
bene sospendere immediatamente l'allenamento o la competizione.
Anche
in questo caso il riposo
è la terapia più efficace. Per guarire da una contrattura
normalmente sono sufficienti 3-7
giorni
di stop, che potrebbero diventare molti di più se non si rispettano
i giusti tempi di recupero.
Per
accelerare il recupero sono utili tutte quelle attività che
consentono di allungare la
muscolatura
e di favorire l'afflusso di sangue ai muscoli.
Una
attività aerobica
moderata abbinata a qualche esercizio di allungamento aiuta a
distendere la muscolatura sia direttamente (stretching) che
indirettamente (iperemia locale). L'ideale sarebbe associare anche un
massaggio decontratturante al termine dell'attività in modo da
allentare le tensioni muscolari ed ottenere benefici anche a livello
analgesico (antidolorifico).
Sicuramente
utili, ma da utilizzare solo nei casi più gravi e sotto controllo
medico, sono i farmaci antinfiammatori (FANS) e miorilassanti
che con la loro azione contribuiscono a distendere la muscolatura.
STIRAMENTI MUSCOLARI
Lo
stiramento,
o
elongazione
muscolare, è
una lesione di media entità che altera il normale tono muscolare. In
una scala di ipotetica gravità potremmo collocarla tra la semplice
contrattura (aumento
involontario e permanente del tono muscolare ) e lo strappo
(rottura delle fibre muscolari).
Lo
stiramento è piuttosto frequente in ambito sportivo ed è causato
dall'eccessivo allungamento subito dalle fibre muscolari. Tale
stiramento può verificarsi in situazioni diverse per cause diverse.
Tra le più frequenti ricordiamo: mancanza di riscaldamento,
preparazione fisica non idonea, movimenti bruschi e violenti,
problemi articolari, microtraumi ripetuti, abbigliamento inadeguato.
Ogni
muscolo del corpo possiede dei recettori in grado di trasmettere
informazioni sulle sue condizioni al sistema nervoso centrale,
parliamo dei fusi muscolari. Essi
inviano informazioni relative alla velocità e all'entità dello
stiramento. Quando un muscolo si allunga eccessivamente (si stira)
anche i fusi (posti in parallelo alle fibre muscolari) si allungano
determinando il cosiddetto riflesso
da stiramento. Tale fenomeno
causa un'improvvisa contrazione muscolare che si associa ad un
contemporaneo rilassamento del muscolo antagonista. Questo meccanismo
permette di salvaguardare la struttura muscolare ma in particolari
circostanze (affaticamento) può risultare insufficiente
predisponendo l'atleta allo stiramento.
A
differenza della contrattura che causa un dolore modesto e diffuso,
nello stiramento muscolare si avverte un dolore acuto ed improvviso a
cui segue uno spasmo muscolare. Tuttavia in molti casi il dolore è
sopportabile e normalmente non impedisce il proseguimento
dell'attività.
Continuando
la pratica sportiva aumenta notevolmente il rischio di aggravare la
situazione (strappo muscolare) per cui si consiglia di fermarsi il
prima possibile anche se il dolore avvertito è di lieve entità.
Il
riposo
è l'unica terapia realmente efficace. L'osservanza di un periodo di
stop compreso tra le due e le tre
settimane è altresì
fondamentale per scongiurare il rischio di eventuali recidive.
La
pratica dello stretching per facilitare il recuperò può essere
tanto utile quanto pericolosa per cui si consiglia di eseguire tali
esercizi sotto la supervisione di personale qualificato.
STRAPPO
MUSCOLARE
Lo
strappo, o distrazione muscolare, è una lesione piuttosto grave che
causa la rottura
di alcune fibre che compongono il muscolo. Tale lesione è
generalmente causata da un'eccessiva sollecitazione ed è piuttosto
frequente in ambito sportivo. Spesso gli strappi muscolari avvengono
in condizioni di scarso allenamento o quando il muscolo è
particolarmente stanco o impreparato a sostenere lo sforzo (mancato
riscaldamento).
Sebbene
lo strappo possa colpire qualsiasi muscolo del corpo, le sedi più
frequentemente colpite sono gli
arti, mentre più raramente si
possono riscontrare patologie a carico della muscolatura addominale e
dorsale. In particolare negli sportivi sono frequenti lesioni ai
muscoli della coscia (flessori, adduttori, quadricipite) e della
gamba (tricipite surale). Una distrazione muscolare frequente nei
culturisti è invece quella che coinvolge il tricipite
e/o il deltoide durante gli
esercizi di spinta su panca piana.
In
relazione al numero di fibre coinvolte (in un muscolo sono presenti
diverse migliaia di fibre) gli strappi muscolari si possono
classificare usando una scala di gravità composta da tre stadi.
LESIONE
DI PRIMO GRADO: in questo tipo di lesione sono danneggiate solo poche
fibre muscolari (meno del 5%);
LESIONE
DI SECONDO GRADO o lesione grave: la gravità dello strappo aumenta
poiché viene coinvolto un maggior numero di fibre.
LESIONE
DI TERZO GRADO o lesione gravissima: l'alto numero di fibre coinvolte
causa una vera e propria lacerazione del ventre muscolare (completa o
semi completa coinvolge comunque almeno 3/4 delle fibre).
Lo
strappo muscolare può essere paragonato alla progressiva rottura di
una corda messa in tensione da due tiranti. In un primo momento si
sbrogliano solo alcune fibre (lesione di I grado) e mano a
mano che si incrementa la forza di trazione lo sfilacciamento
diventa sempre più evidente (lesione di II grado) fino alla completa
rottura della corda (lesione di III grado).
Il
soggetto colpito da uno strappo muscolare avverte un dolore
acuto nella zona lesionata,
tanto più intenso quanto maggiore è il numero di fibre coinvolte.
Il dolore avvertito viene spesso rievocato dalla contrazione del
muscolo interessato. Se il trauma è particolarmente grave il
soggetto si trova nell'impossibilità di muovere la parte interessata
ed il muscolo appare rigido e contratto. Una distrazione di II o di
III grado si accompagna, nella maggior parte dei casi, ad edema
e gonfiore.
Il
muscolo scheletrico è irrorato da una fitta rete di capillari che in
caso di strappo vengono lesionati. Tale rottura causa uno stravaso
ematico più o meno evidente a seconda dell'entità e della
localizzazione della lesione. Se nei traumi più lievi il sangue
rimane all'interno del muscolo, in quelli più gravi migra in
superficie dove si accumula e forma evidenti ematomi.
Dopo
circa 24 ore si può apprezzare un livido localizzato più in basso
rispetto alla sede dello strappo a testimonianza dello stravaso
ematico. Può inoltre insorgere una
contrattura muscolare "di
difesa" grazie alla quale l'organismo cerca di immobilizzare
l'area interessata per favorire il recupero ed evitare che la
situazione peggiori ulteriormente.
La
prima cosa da fare è sospendere
immediatamente l'attività sportiva ed immobilizzare
la zona colpita. Se nei casi più gravi tale sospensione è d'obbligo
in quelli più lievi il soggetto, vista la sopportabilità del
dolore, è naturalmente portato a stringere i denti e continuare. In
questo modo però aumenta notevolmente il rischio di aggravare la
situazione per cui si consiglia di fermarsi il prima possibile anche
se il dolore avvertito è di lieve entità.
Dopo
essersi fermati evitare di caricare l'arto e metterlo in una
posizione di riposo (posizione rialzata).
Applicare
immediatamente un impacco freddo sulla zona interessata in
modo da ridurre il flusso di sangue ai vasi lesionati
(vasocostrizione). Allo stesso tempo evitare qualunque forma di
calore (massaggi, pomate, fanghi ecc.).
Le
lesioni di primo grado si
risolvono nel giro di 1-2
settimane, in cui l'atleta va
mantenuto a riposo e trattato con antinfiammatori
e miorilassanti. Qualche
esercizio di stretching può aiutare ad accelerare e migliorare il
recupero rielasticizzando, per quanto possibile, il tessuto di
riparazione cicatriziale.
Le
lesioni di secondo grado
prevedono invece tempi di guarigione più lunghi (15-30
giorni). Prima della ripresa
dell'attività sportiva il soggetto dovrà seguire un percorso di
riabilitazione e sottoporsi ad opportuni interventi fisioterapici.
Nei
casi più gravi (lesioni di III grado) può essere necessario
l'intervento chirurgico.
COLPO
DI FRUSTA
Il
colpo di frusta è un evento traumatico che interessa il rachide.
Nella maggior parte dei casi insorge in seguito ad una brusco
movimento del capo che supera i limiti
fisiologici di escursione
articolare.
Il
meccanismo lesivo è tipico degli incidenti automobilistici,
soprattutto di quelli in cui il veicolo subisce un tamponamento
violento.
Quando
l'autovettura viene tamponata il sedile ed il conducente subiscono
una forte accelerazione che li proietta in avanti. Il peso del capo
tende per inerzia a conservare la posizione iniziale e, mentre il
resto del corpo viene spinto in avanti, la testa viene pressata
contro il poggiatesta (danno da
iperestensione).
Successivamente
il capo viene proiettato in avanti con una velocità superiore
rispetto al resto del corpo (danno
da iperflessione).
Il
colpo di frusta può comparire anche per eventi traumatici legati a
gesti sportivi o ad incidenti di altra natura. In questi casi
l'impatto avviene più facilmente in direzione
obliqua proiettando il capo
lateralmente e causando danni vertebrali più consistenti.
Se
immaginiamo il collo come una struttura stabilizzata da una fitta
rete di elastici possiamo facilmente capire quale siano le origini e
le conseguenze del colpo di frusta.
Quando
il capo subisce una forte accelerazione il limite di resistenza degli
elastici viene superato e le singole fibre si sfilacciano sempre più
fino alla completa lacerazione (strappo
muscolare) .
Nel
caratteristico colpo di frusta si verifica soltanto un semplice
stiramento
dei muscoli e dei legamenti cervico-nucali.
CONGESTIONE
DIGESTIVA
La congestione in
fase digestiva è
un evento che di solito associamo al "freddo".
Infatti
è proprio un brusco cambio di temperatura, o anche uno sforzo
eccessivo (ad esempio un allenamento sportivo intenso) subito dopo
mangiato, che possono innescare questo pericoloso stato
di "blocco".
Quando
iniziamo la digestione,
infatti, il cuore convoglia molto sangue verso gli organi digestivi,
in particolare verso lo stomaco,
per agevolare questa importante funzione fisiologica. Quanto più
abbondante sarà stato il pasto, tanto maggiore sarà l'afflusso di
sangue verso l'apparato gastrico.
Se,
però, noi compiamo qualcosa di molto imprudente proprio
nel pieno di questa delicata operazione, come fare il bagno in mare,
esporci improvvisamente a temperature
molto basse (ad
esempio se usciamo da un locale ben riscaldato e ci ritroviamo
all'aperto e sotto zero), bere una bevanda
ghiacciata,
o se facciamo uno sforzo muscolare eccessivo, si crea
uno squilibrio nella
distribuzione del sangue.
Il
cuore non ce la fa a pompare il sangue necessario alle parti del
corpo lontane dallo stomaco che avrebbero immediato bisogno di
nutrimento, come le estremità o il cervello, e così la funzione
digestiva va
in blocco.
I sintomi della
congestione si possono manifestare durante tutto l'arco del processo
digestivo, quindi, considerando un pasto medio, circa 3 ore. Ecco i
principali:
- Improvvisa debolezza e senso di svenimento
- Crampi allo stomaco
- Nausea e vomito
- Annebbiamento della vista e capogiri
- Sudorazione fredda
- Pallore
La
prima cosa da fare è far
stendere la
persona e sollevare le gambe, in modo da far affluire il sangue al
cuore. Bisognerà, poi, ripristinare il flusso ematico verso lo
stomaco riscaldando la
parte, sia con lievi massaggi,
che aiutano anche a distendere la muscolatura addominale contratta,
che con una coperta.
Quando
la persona comincia a riperdersi, può essere utile che sorseggi
una bevanda
calda digestiva con
un po' di zucchero, ad esempio ottimo il tè,
che rimette lo stomaco a posto. In caso, invece, di congestione
fulminante,
ad esempio al mare dopo un tuffo in mare imprudente, è meglio
chiamare subito i soccorsi perché
il cuore rischia di andare in tilt. In ogni caso, per evitare una
congestione digestiva basta usare il buon senso.
TRAUMI
DEL GINOCCHIO
LEGAMENTO
CROCIATO
Il
legamento crociato del ginocchio è sollecitato durante lo sport: è
lo sport che nella grande maggioranza dei casi ne determina la sua
rottura ed è nello sport che si rivela la sua importanza capitale
per la stabilità del ginocchio. La rottura o lesione totale del
legamento crociato anteriore necessita, nei giovani sportivi, una sua
ricostruzione chirurgica. Nel caso in cui non venga ricostruito, si
consiglia l'abbandono delle maggiori attività sportive (non tutte).
Il
rischio nel praticare sport con una rottura del legamento crociato
anteriore è quello di continuare ad avere distorsioni che possono
portare, in alcuni casi e dopo circa 20/30 anni, ad un’artrosi
(usura della cartilagine).
Nell’attività
con i pesi nel caso dell’utilizzo di grossi carichi, soprattutto
negli esercizi multiarticolari (squat e stacchi) è consigliato l’uso
di una ginocchiera ortopedica.
Questo
tipo di lesione non comporta l’allontanamento dalla sala pesi e
tanto meno comporta l’abbandono di determinati esercizi, con le
giuste precauzione si può continuare ad allenarsi con i carichi
anche se si decide di non passare sotto i ferri.
La
rottura del legamento può associarsi ad una rottura dei menischi:
attualmente si cerca di effettuare l'intervento prima che il o i
menischi siano rotti. Tuttavia, nel caso in cui vi sia una rottura
meniscale, in occasione della ricostruzione del legamento, si cerca
dove possibile, di suturare il menisco rotto. In generale una rottura
del crociato anteriore non necessita un intervento d’urgenza come
nel caso di una frattura.
La
rottura o lesione isolata del legamento crociato anteriore si
osserva spesso durante una distorsione del ginocchio mentre il
muscolo quadricipite è contratto. Il calciatore in generale si rompe
il legamento quando, con il quadricipite contratto e il piede
bloccato al suolo, il ginocchio effettua un movimento di torsione. I
legamenti crociati, in particolare quello anteriore, sono
estremamente sollecitati durante le attività sportive, soprattutto
durante i movimenti di torsione, isolati o combinati. Un trauma può
provocarne la sua rottura parziale o totale.
Il
ginocchio può gonfiarsi dopo alcuni minuti. Il dolore può essere
immediato e d'intensità variabile, in quanto è determinato dal
gonfiore interno all'articolazione e/o dalle lesioni supplementari
avvenute al trauma.
Occasionalmente
il paziente risente uno scricchiolìo interno, altamente
significativo.
Gli
esercizi guidati, anche se apparentemente sicuri, possono creare
grosse complicazione se eseguiti in maniera errata. Ci si riferisce
alla Leg press, agli esercizi al multipower, all'hack squat machine.
Sembrerà un paradosso ma sono meno dannosi esercizi eseguiti in
maniera ottimale, con manubri e bilancieri, l’utilizzo di questi
attrezzi consente di rispettare le proprie curve fisiologiche.
LEGAMENTI
COLLATERALI
Oltre
ai legamenti crociati esistono altri due legamenti assai importanti
per la stabilità del ginocchio: Il legamento collaterale mediale e
collaterale laterale. Essi decorrono ai lati del ginocchio ed il loro
compito è di stabilizzare l’articolazione nei movimenti di
traslazione laterale.
Tra
i due il più frequentemente interessato da lesioni acute è il
collaterale mediale che nella maggior parte dei casi subisce lesioni
parziali che ben riparano con un’adeguata immobilizzazione. Altre
volte invece la lesione è così profonda che l’unica soluzione è
l’intervento chirurgico per riparare e ritendere il legamento
rotto.
Nei
casi più gravi le lesioni vengono definite complesse quando
due o più strutture articolari vengono coinvolte ( p.e. rottura
meniscale e lesione legamentosa sia del crociato anteriore che del
collaterale mediale);
la soluzione chirurgica diviene indispensabile
per restituire stabilità al ginocchio, ma è evidente che vi saranno
evidenti postumi del trauma subito ed i tempi di recupero
risulteranno assai lunghi.
A
destra: la
triade infausta. Rottura dei legamenti collaterale tibiale e
crociato anteriore con lesione del menisco mediale.
ROTTURA
DEL MENISCO
Tra
le strutture maggiormente colpite da fatti acuti vi sono sicuramente
i menischi. Per ogni ginocchio ve ne sono due, uno detto mediale
l’altro laterale, di forma grossolanamente a ferro di cavallo
adagiati sulla superficie tibiale dell’articolazione del ginocchio.
Essi sono addossati e fusi con la capsula articolare, possiedono una
discreta mobilità e deformabilità che consente loro di adattarsi ai
mutamenti spaziali che si verificano durante i diversi movimenti
articolari; la loro funzione è di stabilizzare il movimento di
scivolamento e rotolamento dell’estremità femorale,
grossolanamente sferica, su una superficie piatta quale è quella
della tibia.
Quando
una od entrambe queste strutture, o per un movimento sbagliato o per
uno sbilanciamento dell’atleta, rimangono " intrappolate"
tra il femore e la tibia, vengono contuse o lacerate.
Il quadro clinico solitamente è di vivo dolore, con impossibilità di
poggiare a terra l’arto colpito; soventemente il ginocchio si
gonfia rendendo il dolore più acuto.
La
diagnosi di rottura meniscale nella gran parte dei casi indirizza
all’intervento chirurgico, solitamente condotto in artroscopia;
mediante tale intervento che prevede piccole incisioni si procede a
seconda dei casi a riparazione meniscale o più frequentemente a
sezione della parte lesa del menisco. I postumi sono
generalmente poco rilevanti nel medio periodo ed il recupero assai
rapido.
KINESIO
TAPING
Il
Kinesio
taping è
un bendaggio con cerotti
colorati per
alleviare
dolori muscolari e
edemi sottocutanei. Questa tecnica può essere impiegata in molte
aree della fisioterapia
e
della riabilitazione come supporto per mantenere i risultati
ottenuti, per il trattamento di traumi acuti e per il recupero di
quelli pregressi. Inventato e commercializzato negli anni ’70 dal
chiropratico ed agopuntore giapponese
Kenzo Kase,
il Kinesio taping è oggi diffuso in tutto il mondo ed utilizzato
ampiamente dagli sportivi professionisti. Anche in Italia la
diffusione di questo cerotto ha toccato livelli molto elevati, grazie
anche alla pubblicità involontaria di famosi sportivi.
Il
bendaggio, chiamato anche “elastotaping”,
è fatto con un particolare tessuto elastico a base
di cotone totalmente
ipoallergenico e senza latex.
La sua colorazione, secondo la
cromoterapia, darebbe invece dei risultati differenti: il cerotto
colorato blu farebbe diminuire l’infiammazione, il cerotto colorato
rosso aiuterebbe a risolvere il crampo doloroso dovuto alla
contrattura e quello colorato beige migliorerebbe il mal di schiena.
Il
funzionamento del Kinesio taping è interamente meccanico e non
chimico visto che nessuna
sostanza viene rilasciata dal bendaggio.
Il taping non costringe un’articolazione in una posizione fissa ma
permette al muscolo di eseguire quasi tutti i movimenti che è
abituato a fare, limitando solo quelli che della struttura muscolare
interessata dal trauma.
A
questo proposito è fondamentale che l’applicazione del cerotto
colorato sia eseguita da un esperto come un fisioterapista, un
osteopata, un fisiatra o un preparatore atletico che abbia seguito
corsi appositi. Il nastro elastico può, a seconde della direzione,
posizione o tensione con cui viene applicato inibire un muscolo
contratto e sovrautilizzato o, al contrario, stimolarne uno
ipotonico. La sua applicazione permetterebbe di risolvere diverse
problematiche come le contratture
paravertebrali-lombari,
tendiniti,
artrosi
cervicali ma
anche mal
di testa,
sindrome
del tunnel carpale edolori
alla schiena.
La
tecnica del taping si basa sulle capacità del corpo umano di guarire
autonomamente, stimolato dall’attivazione del sistema
“neuro-muscolare” e “neuro-sensoriale”, secondo gli ultimi
dettami della neuroscienza.
L’applicazione errata del
Kinesio taping non è pericolosa ma non da alcun beneficio ed anzi
ritarda l’utilizzo di un trattamento medico indispensabile per una
determinata patologia.
Ad oggi
esistono pochi studi scientifici a garanzia della reale efficacia del
cerotto colorato.
In sostanza si può affermare
che sono necessari altri studi per poter confermare l’utilità di
questa metodica ma che, in ogni caso, se ben utilizzata può essere
un ottimo supporto di un percorso terapeutico.
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