TRAUMI E INFORTUNI

TRAUMI E INFORTUNI


PREVENIRE GLI INFORTUNI
Buona parte dei frequentatori delle palestre tende ad allenarsi senza un minimo di cognizione di causa. Quanti di quelli che si allenano con i pesi fanno un appropriato riscaldamento? Quanti si allenano con carichi adeguati? E quanti a fine workout eseguono esercizi di stretching?
Sicuramente molto pochi.
Per non parlare poi di quelli che già dal primo giorno di allenamento iniziano a "tirare" come disperati.
Non c'è da meravigliarsi quindi se queste persone vanno incontro a infortuni.
Ci sono alcuni semplici accorgimenti da prendere per allenarsi in sicurezza. Accorgimenti che spesso vengono visti come perdita di tempo, ma che al contrario ci consentono di raggiungere il nostro obiettivo, quale che sia, senza correre rischi inutili.

PERIODO DI CONDIZIONAMENTO
Per condizionamento muscolare intendiamo azioni motorie capaci di far lavorare le strutture muscolari ad un livello di contrazione allenante, cioè diverso da quello normale.
L’allenamento di condizionamento muscolare in palestra corrisponde ad un allenamento generale ad intensità variabile che sia la risultante di un lavoro svolto attraverso esercizi con sovraccarichi e attraverso l’utilizzo di macchine isotoniche, isocinetiche e di cardiofitness.
Ricordiamo che il condizionamento con sovraccarichi si divide in due tipologie:
condizionamento con carico naturale, quando la resistenza al movimento è data dal proprio corpo (saltare, correre, eseguire trazioni alla sbarra, ecc) o da segmenti di esso (sollevare un braccio, abdurre una gamba, ecc); condizionamento con sovraccarico, quando viene utilizzato un corpo esterno (pesi, zavorre, ecc).
Al condizionamento muscolare sono correlati alcuni importanti principi fisiologici che favoriscono il verificarsi degli adattamenti neuromuscolari generati dall’allenamento.

In un’azione motoria, l’equilibrio muscolare è il bilanciamento dello sforzo tra i muscoli agonisti ed antagonisti. In generale, possiamo definire agonista il muscolo che, considerata una posizione di segmento articolare ed un’azione motoria ad esso collegata, esegue il movimento come muscolo più importante, mentre antagonista il muscolo che effettua il movimento contrario al muscolo agonista e che agisce da modulatore (garantisce cioè la giusta direzione del movimento).
Il lavoro di condizionamento muscolare, per essere allenante, deve essere armonico e non generare scompensi, in termini di tono, tra gruppi muscolari.
Non solo, l’equilibrio agonista/antagonista, se ben inquadrato, permette di posizionare le articolazioni correttamente, generando benefici sulla postura nel suo insieme.
Per quanto riguarda i sovraccarichi, onde evitare problematiche connesse a traumi o processi infiammatori, è opportuno tenere in considerazione quanto segue:
Le cellule muscolari, in presenza di condizionamento con sovraccarichi, riescono ad adattarsi rapidamente ai segnali provenienti dal sistema nervoso (le reazioni neuromuscolari si traducono in maggiore o minore tensione). Le strutture tendinee e legamentose, invece, nell’azione di resistenza ad un sovraccarico, non possono far leva su meccanismi nervosi ma solo sulla proprie strutture, e quindi è necessario attendere che avvengano le dovute trasformazioni biologiche per sopportare nuove e più elevate tensioni. Ne consegue che sarebbe opportuno mantenere un determinato carico per un certo periodo (anche un mese, se necessario) prima di incrementarlo con le tecniche appropriate, perché nonostante la muscolatura sia pronta, occorre fornire a tendini e legamenti il tempo necessario per adattarsi.
In altre parole è un’ attivazione muscolare che serve a preparare il nostro corpo all'allenamento con i pesi. In genere sono sufficienti due settimane (3-4 nel caso di persone sedentarie o non più giovanissime) con carichi bassi (40-50% del massimale), alte ripetizioni (12-20), movimenti lenti e continui.
Inoltre, in questa fase, sarebbe opportuno concentrarsi su eventuali gruppi muscolari carenti e su quelli che notoriamente sono gli "anelli deboli". E' il caso, ad esempio, della cosiddetta “cuffia dei rotatori”; una struttura muscolare finalizzata a stabilizzare l'articolazione della spalla. Sede della maggior parte dei traumi della spalla, per la quale esistono esercizi specifici.

A pancia in giù su una panca, afferrare il manubrio con l'arto perpendicolare al suolo e portare l'avambraccio in posizione parallela al suolo; ritornare in posizione di partenza. Il gomito resta fisso e fa da perno durante tutto l'esercizio.

Stesi su un lato, con il braccio che poggia sulla panca steso in alto, afferrare il manubrio con braccio opposto e allontanare l'avambraccio dal corpo portandolo in posizione parallela al suolo; ritornare in posizione di partenza. Il gomito va tenuto fermo a contatto con il fianco e piegato a 90° per tutta la durata dell'esercizio
Stesi su un lato, afferrare il manubrio con il braccio a contatto con la panca, tenendo il braccio opposto steso lungo il corpo. Piegare l'arto che impugna il manubrio in modo che braccio e avambraccio formino un angolo di 90°, con l'avambraccio parallelo al pavimento e il braccio a contatto con il busto. Avvicinare l'avambraccio al busto fino a portarlo perpendicolare al suolo e ritornare in posizione di partenza.


LESIONI ALLA CUFFIA DEI ROTATORI
È il termine usato in anatomia per indicare il complesso muscolo-tendineo della spalla che forma un importante mezzo di fissità e di stabilizzazione dell'articolazione scapolo-omerale Il nome deriva dal fatto che i grandi tendini proteggono l'intera articolazione formando una vera e propria cuffia che avvolge la testa dell'omero.
Tutta questa mobilità permette l'esecuzione di movimenti molto complessi ma diminuisce sensibilmente la stabilità dell'intera regione.
L'articolazione della spalla è comunque protetta da numerosissime strutture anatomiche stabilizzatrici capitanate dai muscoli e dai tendini che formano la cuffia dei rotatori. L'apparato legamentoso e muscolare con il passare degli anni può però andare incontro a fenomeni degenerativi e soltanto un'adeguata attività fisica può mantenerlo efficiente nel tempo.
Quella che in passato veniva chiamata erroneamente periartrite della spalla (dolore localizzato intorno alla spalla), viene oggi considerata come un gruppo di diverse patologie dolorose che possono colpire questa delicata articolazione. Tra tutte queste malattie l'infiammazione dei tendini che formano la cuffia dei rotatori è senza dubbio la più frequente. Bisogna inoltre considerare che non tutti i problemi alla spalla derivano da questo complesso articolare. Una semplice artrosi cervicale può infatti causare un irradiamento del dolore anche lungo la spalla ed il gomito.
Tornando alla cuffia dei rotatori, essa risulta costituita dall'insieme di quattro muscoli e dai rispettivi tendini:
Superiormente troviamo il tendine del muscolo sovraspinato, anteriormente quello del muscolo sottoscapolare e posteriormente i tendini dei muscoli sottospinato e piccolo rotondo.
Questi muscoli, con la loro contrazione, stabilizzano la spalla impedendone la lussazione (fuoriuscita della testa omerale dalla cavità glenoidea). I tendini piuttosto vasti proteggono l'intera articolazione formando una vera e propria cuffia che avvolge la parte superiore dell'omero.
Tra i quattro muscoli che compongono la cuffia dei rotatori, il sovraspinato è quello che si lesiona più frequentemente. In realtà quando si parla di rottura della cuffia dei rotatori non si fa riferimento a lesioni di natura muscolare ma tendinea.
Il tipo di ferita può variare da un'infiammazione tendinea locale, senza alcun danno permanente, ad una lesione parziale o completa che potrebbe richiedere l'intervento di riparazione chirurgica.
In entrambi i casi si registrerà un deficit più o meno marcato nella forza di abduzione del braccio. In particolare il soggetto faticherà a mantenere il braccio sollevato lateralmente tra i 60° ed i 120°. Degli appositi test per diagnosticare la lesione della cuffia dei rotatori andranno proprio a testare la risposta muscolare del paziente in questi angoli di movimento.

TEST PER LA CUFFIA DEI ROTATORI
TEST DI JOBE: con spalla abdotta a 90°, anteposta di 30° ed intraruotata con pollici orientati verso il basso, il paziente deve resistere ad una spinta verso il basso esercitata dall'esaminatore; è in realtà un test considerato al limite tra i test per il conflitto e quelli per la cuffia; la sua positività è determinata dalla comparsa di dolore e da una diminuzione della resistenza alla spinta ricevuta. Valuta il muscolo sovraspinato, ma talvolta la valutazione della debolezza muscolare può essere resa difficile dalla sintomatologia dolorosa.


TEST DI ADDUZIONE ESTERNA CONTRORESITENZA IN ADDUZIONE: il paziente posto di fronte all'esaminatore con la spalla addotta, in rotazione neutra e gomito flesso a 90° esegue una spinta in extrarotazione contro la resistenza offerta dall'esaminatore; questo test valuta il muscolo sottospinato.

TEST DI PATTE: anche questo test, come il precedente, valuta il muscolo sottospinato; il paziente con la spalla abdotta di 90° e gomito flesso deve eseguire una extrarotazione controresistenza offerta dall' esaminatore posto dietro (figura a sinistra).

LIFT-OFF TEST: con la mano della spalla da valutare posta dietro la schiena, il soggetto deve effettuare una spinta all'indietro controresistenza; in caso di lesione del muscolo sottoscapolare, che questo test indaga, la mano non riesce ad imprimere nessuna spinta.

DROP SIGN: è un test anch'esso di tenuta, spalla abdotta a 90° e massima extrarotazione possibile con gomito a 90°; se l'esaminatore, posto dietro, abbandona la mano e vi è una evidente perdita dell'extrarotazione (>5°) è indicativo di una lesione della parte posteriore della cuffia (figura).



TENDINITE
La tendinite è un processo infiammatorio di uno o più tendini (267 in tutto), le robuste strutture anatomiche che connettono i muscoli alle ossa; è solitamente causata da traumi o da un uso intensivo, più raramente da infezioni o malattie autoimmuni, per esempio l'artrite reumatoide. La tendinite si verifica più frequentemente alle spalle, ai gomiti, alle ginocchia, ai polsi e alle caviglie.
Può verificarsi all'inserzione del tendine sull'osso, oppure in un punto qualsiasi del decorso del tendine; può interessare anche la guaina che lo riveste e in questo caso si parla di "tenosinovite". Spesso la tendinite necessita soltanto di un adeguato periodo di riposo per guarire. Il sintomo principale è il dolore nella zona colpita, che può essere accompagnato da gonfiore, più o meno evidente, che aumenta con il movimento.
La tendinite può essere legata all'uso eccessivo del tendine, per esempio negli sport che richiedono movimenti ampi e ripetitivi degli arti o in determinate professioni (per esempio suonatori di alcuni strumenti musicali). L'età è un altro fattore di rischio, in quanto con il passare degli anni muscoli e tendini perdono in parte la loro elasticità.
Si parla di borsite quando vi è riscontrata l’infiammazione di una borsa, cioè del piccolo cuscinetto che attutisce gli urti tra due strutture che si muovono (ossa, muscoli, tendini o pelle). Se un muscolo o un tendine tende a fuoriuscire dalla sua zona, o preme contro un osso, le borse servono per proteggerlo dal logoramento e dal sovraccarico. L’irritazione o l’infiammazione delle borse è detta borsite (il suffisso “ite” indica appunto che si tratta di un’infiammazione).
Le radiografie non mostrano direttamente le borse o i tendini, però possono essere utili per escludere problemi alle ossa o alle articolazioni. La risonanza magnetica e le ecografie invece potrebbero essere utili, ma in genere non sono necessarie né consigliate.
In molti casi, le radiografie alla spalla rivelano la presenza di calcificazioni all’interno della guaina tendinea o intorno all’articolazione tendinea. La tendinite della spalla può quasi sempre essere risolta senza doversi preoccupare dei depositi di calcio. Molti pazienti infatti presentano calcificazioni nella spalla che rimangono asintomatiche.

Per non affaticare eccessivamente i nostri muscoli è opportuno effettuare alcuni esercizi specifici per rinforzare alcuni importanti gruppi muscolari, che tuteleranno lo scheletro ed i tendini dagli incidenti più diffusi nelle palestre.
È necessario quindi rinforzare la colonna lombo-sacrale, con esercizi di stretching, addominali e lombari. Poi rinforzare le ginocchia, con esercizi stabilizzatori, allenando i muscoli estensori e flessori del ginocchio. Così come i glutei e le spalle stesse.

FRATTURE
Con tale termine si indica la perdita della continuità anatomica, completa o incompleta, di un osso. La frattura viene definita traumatica, se è dovuta a un trauma; spontanea o patologica, se si produce spontaneamente o in seguito a traumi insignificanti in un osso già colpito da un processo patologico. Le fratture traumatiche vengono a loro volta distinte in dirette, se si producono nel punto su cui ha agito il trauma; indirette, quando si verificano in un punto lontano da quello d'azione del trauma, oppure in conseguenza di strappi o trazioni violente dei legamenti, di torsione, flessione ecc. .
Le fratture possono essere di diversi tipi:
a) Semplici o chiuse, quando le parti molli intorno all'osso non hanno subito lesioni;
b) Complicate o esposte, quando le parti molli sono anch'esse lacerate e si è quindi prodotta una ferita cutanea che mette in comunicazione il focolaio di frattura con l'esterno.
Quest’ultimo tipo comporta maggiori rischi di infezioni e di guarigione imperfetta.
E’ frequente, in caso di frattura, udire il cosiddetto "scroscio" quando i due frammenti scorrono reciprocamente lungo la linea di frattura.
Cosa fare:
Se la frattura è esposta, il primo intervento consiste nel controllo dell'emorragia. In generale, è bene chiamare un'ambulanza. In questo caso non fate nulla, evitate di muovere l'infortunato e limitatevi a rendere l'attesa più confortevole, per esempio coprendolo con una coperta. Se l'infortunato non ha perso conoscenza, non accusa dolori al collo o alla colonna vertebrale ed il polso e la respirazione sono buoni, si può trasportarlo in ospedale con i propri mezzi: in quest'ultimo caso è bene cercare di immobilizzare l'osso del quale si sospetta la frattura.
Cosa non fare:
Evitare nel modo più assoluto massaggi più o meno energici della parte colpita, così come qualsiasi manovra atta a "rimettere a posto" l'osso spostato;
Evitare di togliere gli indumenti a meno che non stringano eccessivamente o ci sia un'emorragia per una frattura esposta; in tal caso è preferibile tagliarli;
Non muovere mai un infortunato del quale si sospetti la frattura della colonna vertebrale poiché il minimo movimento, danneggiando il midollo spinale, potrebbe avere conseguenze disastrose.
Come immobilizzare un arto fratturato:
La fasciatura non deve mai avvolgere il punto della lesione ma deve sempre essere applicata al di sopra e al di sotto della stessa, perché il gonfiore dovuto al trauma potrebbe ostacolare la circolazione;
Se utilizzate una stecca, tra l'arto lesionato e il supporto, inserite qualcosa che serva da imbottitura;
La fasciatura deve essere sufficientemente stretta da impedire il movimento ma non troppo da impedire la circolazione;
Controllate sempre il colore delle unghie: se tende a diventare bluastro sarà necessario allentare la fasciatura.

DISTORSIONI
Le distorsioni sono lesioni della capsula e dei legamenti delle articolazioni, provocate da movimenti "fuori dalla norma" che portano i capi articolari al di là dei loro limiti fisiologici. Si può verificare una perdita temporanea del contatto tra i capi articolari; quando la perdita di contatto è permanente si parla di lussazione. Il danno può essere limitato, come accade quando la capsula e i legamenti vengono stirati, o più seria, con la lacerazione di queste strutture. Solitamente non si verifica rottura.
Spesso è dovuta ad un'esagerata escursione dell'articolazione oppure ad uno spostamento dell'articolazione causato da una direzione innaturale imposta all'arto.
La distorsione provoca una fuoriuscita di sangue nella sede articolare, che si gonfia ed appare molto arrossata, tumefatta e calda. Compare anche un forte dolore e il movimento è bloccato.
Le storte e le torsioni degli arti sono le più comuni cause delle distorsioni. Le articolazioni più colpite sono la caviglia, il ginocchio e il polso.
Le distorsioni sono favorite dalla mancanza di allenamento e da un tono muscolare insufficiente.
I sintomi più comuni di una distorsione sono:
dolore intenso in corrispondenza dell'articolazione colpita;
limitazione funzionale, non immediata, ma che aumenta insieme al dolore e alla tumefazione;
gonfiore che aumenta gradualmente dopo il trauma; una tumefazione precoce, invece, di solito è dovuta ad un'emorragia da lacerazione della capsula e della sinovia.
La prima cosa da fare è mettere immediatamente a riposo e sollevare l'articolazione per ridurre il gonfiore, senza massaggiare la parte colpita. È bene applicare un impacco di ghiaccio sulla parte dolorante. L'articolazione colpita va fasciata immediatamente con un bendaggio compressivo, in modo da evitare il formarsi della tumefazione.

LUSSAZIONE
La lussazione o slogatura è un evento traumatico che causa la perdita dei rapporti reciproci tra i capi articolari di un'articolazione. Lo slittamento a livello cartilagineo delle due estremità ossee è consentito dalla rottura, almeno parziale, della capsula e dei legamenti che stabilizzano l'articolazione. Talvolta a tali lesioni si associano quelle della cartilagine articolare, dei vasi, delle ossa, della cute (lussazione esposta) e dei nervi. Tali rotture contribuiscono ad aggravare ulteriormente la situazione: una lesione cutanea, per esempio, aumenta considerevolmente il rischio di infezione mentre una lesione nervosa si associa ad una perdita di sensibilità e forza muscolare.
Le lussazioni si dividono in complete ed incomplete. Nel primo caso vi è una netta separazione tra le due superfici articolari, mentre nel secondo caso i capi ossei rimangono parzialmente in contatto tra di loro. In entrambi i casi è necessario un intervento esterno per riportare in sede le due superfici articolari fuoriuscite. Al contrario se dopo l'incidente le due estremità ossee si riposizionano da sole non si parla più di lussazione ma di distorsione articolare.
Le lussazioni interessano più frequentemente la spalla (circa il 50% dei casi), il gomito, l'anca, le dita e la rotula; le sublussazioni (allineamento dei capi ossei in sovrapposizione) sono invece più comuni a livello della caviglia e del ginocchio.
Una lussazione si manifesta nella stragrande maggioranza dei casi quando un forte trauma colpisce l'articolazione o quando questa, durante un movimento, supera il limite della normale mobilità. Non a caso le articolazioni più colpite sono anche quelle più mobili; a livello articolare, dunque, mobilità ed instabilità vanno di pari passo.
Per questo motivo chi pratica sport come il rugby, l'ippica, lo sci, la pallavolo, il basket, il wrestling od altri sport di contatto corre un maggior rischio di subire questo tipo di infortuni. I sintomi spaziano da: instabilità articolare, impossibilità nei movimenti che coinvolgono l'articolazione colpita, deformazione articolare visibile e palpabile, dolore improvviso ed acuto enfatizzato dalla palpazione, gonfiore, abrasione, cute con ecchimosi.
Nella fase acuta del trauma, il compito di ridurre la lussazione spetta esclusivamente al medico che, grazie alle sue conoscenze, potrà rimettere in sede le superfici articolari senza creare, o comunque minimizzando, ulteriori lesioni. Talvolta tale manovra viene effettuata in anestesia locale.
Quando si subisce una lussazione è importante intervenire tempestivamente (entro 24-48 ore). Se si tardasse a ridurre la lussazione già dopo un paio di giorni insorgerebbero infatti dei fenomeni cicatriziali che renderebbero necessario l'intervento di riposizionamento chirurgico.

CONTUSIONI
La contusione è una lesione che viene causata da una compressione esercitata da un agente contundente. Gli effetti dell'azione del corpo contundente possono essere decisamente variabili; possono infatti verificarsi banali ecchimosi oppure si possono avere problematiche più serie (lesioni muscolari, vascolari, nervose ecc.).
Le contusioni possono essere variamente classificate; se prendiamo in considerazione la gravità della contusione si distinguono le seguenti tipologie di contusione:
contusione di I grado
contusione di II grado
contusione di III grado.
Nella contusione di I grado le lesioni sono relative soltanto ai piccoli vasi; il sangue che fuoriesce da questi ultimi si diffonde infiltrando i tessuti; si ha quindi la formazione di un'ecchimosi ovvero una macchia che inizialmente è di colore bluastro e che nel tempo varia cromaticamente assumendo una colorazione tendente al giallo ocra.
Nella contusione di II grado si ha la formazione di un ematoma, ovvero una tumefazione (gonfiore) provocata dal fatto che si è avuta una rottura di una certa entità dei vasi sanguigni; spesso sono presenti coaguli che al tatto fluttuano.
Nella contusione di III grado vi è una compromissione della vitalità della cute provocata dalla notevole intensità della compressione. Si ha quindi, conseguentemente, la formazione di una necrosi (ovvero la morte di uno strato delle cellule cutanee); inizialmente la cute interessata avrà una colorazione tendente al pallido per poi acquistare, con il trascorrere del tempo, una colorazione nerastra.

CONTRATTURA MUSCOLARE
Consistente in una contrazione involontaria, insistente e dolorosa di uno o più muscoli scheletrici. Il muscolo coinvolto si presenta rigido e l'ipertonia delle fibre muscolari è apprezzabile al tatto.
La contrattura è di per sé un atto difensivo che insorge quando il tessuto muscolare viene sollecitato oltre il suo limite di sopportazione fisiologico. L'eccessivo carico innesca un meccanismo di difesa che porta il muscolo a contrarsi. Le cause predisponenti possono essere di natura meccanica e/o metabolica ma non sono state ancora definite con chiarezza. Ciò che si sa è che sono in qualche modo correlate ai seguenti fattori:

  • mancanza di riscaldamento generale e specifico;
  • preparazione fisica non idonea;
  • sollecitazioni eccessive, movimenti bruschi e violenti;
  • problemi articolari, squilibri posturali e muscolari, mancanza di coordinazione;

La contrattura è la meno grave tra le lesioni muscolari acute poiché non causa alcuna lesione anatomica alle fibre. Ciò che si verifica è semplicemente un aumento involontario e permanente del loro tono.
Il soggetto colpito da una contrattura avverte un dolore modesto e diffuso lungo l'area muscolare interessata. L'ipertonia viene percepita piuttosto chiaramente e l'atleta lamenta una mancanza di elasticità del muscolo durante i movimenti. La palpazione consente di apprezzare l'aumento involontario del tono muscolare e di evocare dolore soprattutto in alcuni punti (trigger point attivi).
Il dolore è tollerabile e non impedisce il proseguimento dell'attività sportiva. Tuttavia per allontanare il rischio di complicazioni è bene sospendere immediatamente l'allenamento o la competizione.
Anche in questo caso il riposo è la terapia più efficace. Per guarire da una contrattura normalmente sono sufficienti 3-7 giorni di stop, che potrebbero diventare molti di più se non si rispettano i giusti tempi di recupero.
Per accelerare il recupero sono utili tutte quelle attività che consentono di allungare la muscolatura e di favorire l'afflusso di sangue ai muscoli.
Una attività aerobica moderata abbinata a qualche esercizio di allungamento aiuta a distendere la muscolatura sia direttamente (stretching) che indirettamente (iperemia locale). L'ideale sarebbe associare anche un massaggio decontratturante al termine dell'attività in modo da allentare le tensioni muscolari ed ottenere benefici anche a livello analgesico (antidolorifico).
Sicuramente utili, ma da utilizzare solo nei casi più gravi e sotto controllo medico, sono i farmaci antinfiammatori (FANS) e miorilassanti che con la loro azione contribuiscono a distendere la muscolatura.

STIRAMENTI MUSCOLARI
Lo stiramento, o elongazione muscolare, è una lesione di media entità che altera il normale tono muscolare. In una scala di ipotetica gravità potremmo collocarla tra la semplice contrattura (aumento involontario e permanente del tono muscolare ) e lo strappo (rottura delle fibre muscolari).
Lo stiramento è piuttosto frequente in ambito sportivo ed è causato dall'eccessivo allungamento subito dalle fibre muscolari. Tale stiramento può verificarsi in situazioni diverse per cause diverse. Tra le più frequenti ricordiamo: mancanza di riscaldamento, preparazione fisica non idonea, movimenti bruschi e violenti, problemi articolari, microtraumi ripetuti, abbigliamento inadeguato.
Ogni muscolo del corpo possiede dei recettori in grado di trasmettere informazioni sulle sue condizioni al sistema nervoso centrale, parliamo dei fusi muscolari. Essi inviano informazioni relative alla velocità e all'entità dello stiramento. Quando un muscolo si allunga eccessivamente (si stira) anche i fusi (posti in parallelo alle fibre muscolari) si allungano determinando il cosiddetto riflesso da stiramento. Tale fenomeno causa un'improvvisa contrazione muscolare che si associa ad un contemporaneo rilassamento del muscolo antagonista. Questo meccanismo permette di salvaguardare la struttura muscolare ma in particolari circostanze (affaticamento) può risultare insufficiente predisponendo l'atleta allo stiramento.
A differenza della contrattura che causa un dolore modesto e diffuso, nello stiramento muscolare si avverte un dolore acuto ed improvviso a cui segue uno spasmo muscolare. Tuttavia in molti casi il dolore è sopportabile e normalmente non impedisce il proseguimento dell'attività.
Continuando la pratica sportiva aumenta notevolmente il rischio di aggravare la situazione (strappo muscolare) per cui si consiglia di fermarsi il prima possibile anche se il dolore avvertito è di lieve entità.
Il riposo è l'unica terapia realmente efficace. L'osservanza di un periodo di stop compreso tra le due e le tre settimane è altresì fondamentale per scongiurare il rischio di eventuali recidive.
La pratica dello stretching per facilitare il recuperò può essere tanto utile quanto pericolosa per cui si consiglia di eseguire tali esercizi sotto la supervisione di personale qualificato.

STRAPPO MUSCOLARE
Lo strappo, o distrazione muscolare, è una lesione piuttosto grave che causa la rottura di alcune fibre che compongono il muscolo. Tale lesione è generalmente causata da un'eccessiva sollecitazione ed è piuttosto frequente in ambito sportivo. Spesso gli strappi muscolari avvengono in condizioni di scarso allenamento o quando il muscolo è particolarmente stanco o impreparato a sostenere lo sforzo (mancato riscaldamento).
Sebbene lo strappo possa colpire qualsiasi muscolo del corpo, le sedi più frequentemente colpite sono gli arti, mentre più raramente si possono riscontrare patologie a carico della muscolatura addominale e dorsale. In particolare negli sportivi sono frequenti lesioni ai muscoli della coscia (flessori, adduttori, quadricipite) e della gamba (tricipite surale). Una distrazione muscolare frequente nei culturisti è invece quella che coinvolge il tricipite e/o il deltoide durante gli esercizi di spinta su panca piana.
In relazione al numero di fibre coinvolte (in un muscolo sono presenti diverse migliaia di fibre) gli strappi muscolari si possono classificare usando una scala di gravità composta da tre stadi.
LESIONE DI PRIMO GRADO: in questo tipo di lesione sono danneggiate solo poche fibre muscolari (meno del 5%);
LESIONE DI SECONDO GRADO o lesione grave: la gravità dello strappo aumenta poiché viene coinvolto un maggior numero di fibre.
LESIONE DI TERZO GRADO o lesione gravissima: l'alto numero di fibre coinvolte causa una vera e propria lacerazione del ventre muscolare (completa o semi completa coinvolge comunque almeno 3/4 delle fibre).

Lo strappo muscolare può essere paragonato alla progressiva rottura di una corda messa in tensione da due tiranti. In un primo momento si sbrogliano solo alcune fibre (lesione di I grado) e mano a mano che si incrementa la forza di trazione lo sfilacciamento diventa sempre più evidente (lesione di II grado) fino alla completa rottura della corda (lesione di III grado).
Il soggetto colpito da uno strappo muscolare avverte un dolore acuto nella zona lesionata, tanto più intenso quanto maggiore è il numero di fibre coinvolte. Il dolore avvertito viene spesso rievocato dalla contrazione del muscolo interessato. Se il trauma è particolarmente grave il soggetto si trova nell'impossibilità di muovere la parte interessata ed il muscolo appare rigido e contratto. Una distrazione di II o di III grado si accompagna, nella maggior parte dei casi, ad edema e gonfiore.
Il muscolo scheletrico è irrorato da una fitta rete di capillari che in caso di strappo vengono lesionati. Tale rottura causa uno stravaso ematico più o meno evidente a seconda dell'entità e della localizzazione della lesione. Se nei traumi più lievi il sangue rimane all'interno del muscolo, in quelli più gravi migra in superficie dove si accumula e forma evidenti ematomi.
Dopo circa 24 ore si può apprezzare un livido localizzato più in basso rispetto alla sede dello strappo a testimonianza dello stravaso ematico. Può inoltre insorgere una contrattura muscolare "di difesa" grazie alla quale l'organismo cerca di immobilizzare l'area interessata per favorire il recupero ed evitare che la situazione peggiori ulteriormente.
La prima cosa da fare è sospendere immediatamente l'attività sportiva ed immobilizzare la zona colpita. Se nei casi più gravi tale sospensione è d'obbligo in quelli più lievi il soggetto, vista la sopportabilità del dolore, è naturalmente portato a stringere i denti e continuare. In questo modo però aumenta notevolmente il rischio di aggravare la situazione per cui si consiglia di fermarsi il prima possibile anche se il dolore avvertito è di lieve entità.
Dopo essersi fermati evitare di caricare l'arto e metterlo in una posizione di riposo (posizione rialzata).
Applicare immediatamente un impacco freddo sulla zona interessata in modo da ridurre il flusso di sangue ai vasi lesionati (vasocostrizione). Allo stesso tempo evitare qualunque forma di calore (massaggi, pomate, fanghi ecc.).
Le lesioni di primo grado si risolvono nel giro di 1-2 settimane, in cui l'atleta va mantenuto a riposo e trattato con antinfiammatori e miorilassanti. Qualche esercizio di stretching può aiutare ad accelerare e migliorare il recupero rielasticizzando, per quanto possibile, il tessuto di riparazione cicatriziale.
Le lesioni di secondo grado prevedono invece tempi di guarigione più lunghi (15-30 giorni). Prima della ripresa dell'attività sportiva il soggetto dovrà seguire un percorso di riabilitazione e sottoporsi ad opportuni interventi fisioterapici.
Nei casi più gravi (lesioni di III grado) può essere necessario l'intervento chirurgico.

COLPO DI FRUSTA
Il colpo di frusta è un evento traumatico che interessa il rachide. Nella maggior parte dei casi insorge in seguito ad una brusco movimento del capo che supera i limiti fisiologici di escursione articolare.
Il meccanismo lesivo è tipico degli incidenti automobilistici, soprattutto di quelli in cui il veicolo subisce un tamponamento violento.
Quando l'autovettura viene tamponata il sedile ed il conducente subiscono una forte accelerazione che li proietta in avanti. Il peso del capo tende per inerzia a conservare la posizione iniziale e, mentre il resto del corpo viene spinto in avanti, la testa viene pressata contro il poggiatesta (danno da iperestensione).
Successivamente il capo viene proiettato in avanti con una velocità superiore rispetto al resto del corpo (danno da iperflessione).
Il colpo di frusta può comparire anche per eventi traumatici legati a gesti sportivi o ad incidenti di altra natura. In questi casi l'impatto avviene più facilmente in direzione obliqua proiettando il capo lateralmente e causando danni vertebrali più consistenti.
Se immaginiamo il collo come una struttura stabilizzata da una fitta rete di elastici possiamo facilmente capire quale siano le origini e le conseguenze del colpo di frusta.
Quando il capo subisce una forte accelerazione il limite di resistenza degli elastici viene superato e le singole fibre si sfilacciano sempre più fino alla completa lacerazione (strappo muscolare) .
Nel caratteristico colpo di frusta si verifica soltanto un semplice stiramento dei muscoli e dei legamenti cervico-nucali.

CONGESTIONE DIGESTIVA
La congestione in fase digestiva è un evento che di solito associamo al "freddo".
Infatti è proprio un brusco cambio di temperatura, o anche uno sforzo eccessivo (ad esempio un allenamento sportivo intenso) subito dopo mangiato, che possono innescare questo pericoloso stato di "blocco".
Quando iniziamo la digestione, infatti, il cuore convoglia molto sangue verso gli organi digestivi, in particolare verso lo stomaco, per agevolare questa importante funzione fisiologica. Quanto più abbondante sarà stato il pasto, tanto maggiore sarà l'afflusso di sangue verso l'apparato gastrico.
Se, però, noi compiamo qualcosa di molto imprudente proprio nel pieno di questa delicata operazione, come fare il bagno in mare, esporci improvvisamente a temperature molto basse (ad esempio se usciamo da un locale ben riscaldato e ci ritroviamo all'aperto e sotto zero), bere una bevanda ghiacciata, o se facciamo uno sforzo muscolare eccessivo, si crea uno squilibrio nella distribuzione del sangue.
Il cuore non ce la fa a pompare il sangue necessario alle parti del corpo lontane dallo stomaco che avrebbero immediato bisogno di nutrimento, come le estremità o il cervello, e così la funzione digestiva va in blocco. I sintomi della congestione si possono manifestare durante tutto l'arco del processo digestivo, quindi, considerando un pasto medio, circa 3 ore. Ecco i principali: 
  • Improvvisa debolezza e senso di svenimento
  • Crampi allo stomaco
  • Nausea e vomito
  • Annebbiamento della vista e capogiri
  • Sudorazione fredda
  • Pallore

La prima cosa da fare è far stendere la persona e sollevare le gambe, in modo da far affluire il sangue al cuore. Bisognerà, poi, ripristinare il flusso ematico verso lo stomaco riscaldando la parte, sia con lievi massaggi, che aiutano anche a distendere la muscolatura addominale contratta, che con una coperta.

Quando la persona comincia a riperdersi, può essere utile che sorseggi una bevanda calda digestiva con un po' di zucchero, ad esempio ottimo il tè, che rimette lo stomaco a posto. In caso, invece, di congestione fulminante, ad esempio al mare dopo un tuffo in mare imprudente, è meglio chiamare subito i soccorsi perché il cuore rischia di andare in tilt. In ogni caso, per evitare una congestione digestiva basta usare il buon senso. 

TRAUMI DEL GINOCCHIO
LEGAMENTO CROCIATO
Il legamento crociato del ginocchio è sollecitato durante lo sport: è lo sport che nella grande maggioranza dei casi ne determina la sua rottura ed è nello sport che si rivela la sua importanza capitale per la stabilità del ginocchio. La rottura o lesione totale del legamento crociato anteriore necessita, nei giovani sportivi, una sua ricostruzione chirurgica. Nel caso in cui non venga ricostruito, si consiglia l'abbandono delle maggiori attività sportive (non tutte).
Il rischio nel praticare sport con una rottura del legamento crociato anteriore è quello di continuare ad avere distorsioni che possono portare, in alcuni casi e dopo circa 20/30 anni, ad un’artrosi (usura della cartilagine).
Nell’attività con i pesi nel caso dell’utilizzo di grossi carichi, soprattutto negli esercizi multiarticolari (squat e stacchi) è consigliato l’uso di una ginocchiera ortopedica.
Questo tipo di lesione non comporta l’allontanamento dalla sala pesi e tanto meno comporta l’abbandono di determinati esercizi, con le giuste precauzione si può continuare ad allenarsi con i carichi anche se si decide di non passare sotto i ferri.
La rottura del legamento può associarsi ad una rottura dei menischi: attualmente si cerca di effettuare l'intervento prima che il o i menischi siano rotti. Tuttavia, nel caso in cui vi sia una rottura meniscale, in occasione della ricostruzione del legamento, si cerca dove possibile, di suturare il menisco rotto. In generale una rottura del crociato anteriore non necessita un intervento d’urgenza come nel caso di una frattura.

La rottura o lesione isolata del legamento crociato anteriore si osserva spesso durante una distorsione del ginocchio mentre il muscolo quadricipite è contratto. Il calciatore in generale si rompe il legamento quando, con il quadricipite contratto e il piede bloccato al suolo, il ginocchio effettua un movimento di torsione. I legamenti crociati, in particolare quello anteriore, sono estremamente sollecitati durante le attività sportive, soprattutto durante i movimenti di torsione, isolati o combinati. Un trauma può provocarne la sua rottura parziale o totale.
Il ginocchio può gonfiarsi dopo alcuni minuti. Il dolore può essere immediato e d'intensità variabile, in quanto è determinato dal gonfiore interno all'articolazione e/o dalle lesioni supplementari avvenute al trauma.
Occasionalmente il paziente risente uno scricchiolìo interno, altamente significativo.
Gli esercizi guidati, anche se apparentemente sicuri, possono creare grosse complicazione se eseguiti in maniera errata. Ci si riferisce alla Leg press, agli esercizi al multipower, all'hack squat machine. Sembrerà un paradosso ma sono meno dannosi esercizi eseguiti in maniera ottimale, con manubri e bilancieri, l’utilizzo di questi attrezzi consente di rispettare le proprie curve fisiologiche.

LEGAMENTI COLLATERALI
Oltre ai legamenti crociati esistono altri due legamenti assai importanti per la stabilità del ginocchio: Il legamento collaterale mediale e collaterale laterale. Essi decorrono ai lati del ginocchio ed il loro compito è di stabilizzare l’articolazione nei movimenti di traslazione laterale.

Tra i due il più frequentemente interessato da lesioni acute è il collaterale mediale che nella maggior parte dei casi subisce lesioni parziali che ben riparano con un’adeguata immobilizzazione. Altre volte invece la lesione è così profonda che l’unica soluzione è l’intervento chirurgico per riparare e ritendere il legamento rotto.

Nei casi più gravi le lesioni vengono definite complesse quando due o più strutture articolari vengono coinvolte ( p.e. rottura meniscale e lesione legamentosa sia del crociato anteriore che del collaterale mediale);
la soluzione chirurgica diviene indispensabile per restituire stabilità al ginocchio, ma è evidente che vi saranno evidenti postumi del trauma subito ed i tempi di recupero risulteranno assai lunghi.
A destra: la triade infausta.  Rottura dei legamenti collaterale tibiale e crociato anteriore con lesione del menisco mediale.   

ROTTURA DEL MENISCO
Tra le strutture maggiormente colpite da fatti acuti vi sono sicuramente i menischi. Per ogni ginocchio ve ne sono due, uno detto mediale l’altro laterale, di forma grossolanamente a ferro di cavallo adagiati sulla superficie tibiale dell’articolazione del ginocchio. Essi sono addossati e fusi con la capsula articolare, possiedono una discreta mobilità e deformabilità che consente loro di adattarsi ai mutamenti spaziali che si verificano durante i diversi movimenti articolari; la loro funzione è di stabilizzare il movimento di scivolamento e rotolamento dell’estremità femorale, grossolanamente sferica, su una superficie piatta quale è quella della tibia.
Quando una od entrambe queste strutture, o per un movimento sbagliato o per uno sbilanciamento dell’atleta, rimangono " intrappolate" tra il femore e la tibia, vengono contuse o lacerate.
Il quadro clinico solitamente è di vivo dolore, con impossibilità di poggiare a terra l’arto colpito; soventemente il ginocchio si gonfia rendendo il dolore più acuto.

La diagnosi di rottura meniscale nella gran parte dei casi indirizza all’intervento chirurgico, solitamente condotto in artroscopia; mediante tale intervento che prevede piccole incisioni si procede a seconda dei casi a riparazione meniscale o più frequentemente a sezione della parte lesa del menisco. I postumi sono generalmente poco rilevanti nel medio periodo ed il recupero assai rapido.

KINESIO TAPING
Il Kinesio taping è un bendaggio con cerotti colorati per alleviare dolori muscolari e edemi sottocutanei. Questa tecnica può essere impiegata in molte aree della fisioterapia e della riabilitazione come supporto per mantenere i risultati ottenuti, per il trattamento di traumi acuti e per il recupero di quelli pregressi. Inventato e commercializzato negli anni ’70 dal chiropratico ed agopuntore giapponese Kenzo Kase, il Kinesio taping è oggi diffuso in tutto il mondo ed utilizzato ampiamente dagli sportivi professionisti. Anche in Italia la diffusione di questo cerotto ha toccato livelli molto elevati, grazie anche alla pubblicità involontaria di famosi sportivi.
Il bendaggio, chiamato anche “elastotaping”, è fatto con un particolare tessuto elastico a base di cotone totalmente ipoallergenico e senza latex.
La sua colorazione, secondo la cromoterapia, darebbe invece dei risultati differenti: il cerotto colorato blu farebbe diminuire l’infiammazione, il cerotto colorato rosso aiuterebbe a risolvere il crampo doloroso dovuto alla contrattura e quello colorato beige migliorerebbe il mal di schiena.
Il funzionamento del Kinesio taping è interamente meccanico e non chimico visto che nessuna sostanza viene rilasciata dal bendaggio. Il taping non costringe un’articolazione in una posizione fissa ma permette al muscolo di eseguire quasi tutti i movimenti che è abituato a fare, limitando solo quelli che della struttura muscolare interessata dal trauma.
A questo proposito è fondamentale che l’applicazione del cerotto colorato sia eseguita da un esperto come un fisioterapista, un osteopata, un fisiatra o un preparatore atletico che abbia seguito corsi appositi. Il nastro elastico può, a seconde della direzione, posizione o tensione con cui viene applicato inibire un muscolo contratto e sovrautilizzato o, al contrario, stimolarne uno ipotonico. La sua applicazione permetterebbe di risolvere diverse problematiche come le contratture paravertebrali-lombari, tendiniti, artrosi cervicali ma anche mal di testa, sindrome del tunnel carpale edolori alla schiena.
La tecnica del taping si basa sulle capacità del corpo umano di guarire autonomamente, stimolato dall’attivazione del sistema “neuro-muscolare” e “neuro-sensoriale”, secondo gli ultimi dettami della neuroscienza.
L’applicazione errata del Kinesio taping non è pericolosa ma non da alcun beneficio ed anzi ritarda l’utilizzo di un trattamento medico indispensabile per una determinata patologia.
Ad oggi esistono pochi studi scientifici a garanzia della reale efficacia del cerotto colorato.
In sostanza si può affermare che sono necessari altri studi per poter confermare l’utilità di questa metodica ma che, in ogni caso, se ben utilizzata può essere un ottimo supporto di un percorso terapeutico.


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