FISIOLOGIA MUSCOLARE

FISIOLOGIA MUSCOLARE

LA CELLULA
Prima di parlare delle varie componenti legate alla fisiologia dei muscoli, occorre soffermarsi per un breve accenno sulle cellule e quindi i diversi tipi di tessuto che esse possono costruire.
La cellula è la più piccola unità vivente dell’organismo che nei pluricellulari si combina con altre cellule per formare i tessuti che, a loro volta, possono unirsi nella composizione degli organi. Essa è composta da una doppia membrana fosfolipidica tra cui troviamo delle proteine responsabili degli scambi con l’esterno. All’interno della cellula individuiamo diversi organuli:
  • Citoplasma: liquido all’interno del quale vi sono immersi i vari organuli sede, quindi, dei processi anaerobici e di stoccaggio del glucosio sottoforma di glicogeno;
  • Nucleo: centro di regolazione cellulare rivestito da una membrana “bucherellata” , all’interno troviamo proteine e DNA;
  • Reticolo endoplasmatico: sistema di trasporto di sostanze della cellula, si divide in: rugoso, presenta su di esso ribosomi che sintetizzano proteine, liscio, ne è sprovvisto e sintetizza lipidi;
  • Apparato di Golgi: Rielabora alcune sostanze provenienti dal reticolo;
  • Ribosomi: svolgono la funzione di sintetizzazione delle proteine;
  • Lisosomi: vescicole contenenti enzimi deputati alla digestione delle sostanze e quindi possono essere considerate delle “pattumiere” che eliminano gli scarti;
  • Mitocondri: centrale energetica della cellula, producono l'energia necessaria per molte funzioni cellulari, quali il movimento, il trasporto di sostanze ecc.
Come detto, più cellule formano tessuti che possono essere: epiteliali (di rivestimento, pelle), connettivi (tessuto osseo, sangue, collagene…), cartilagineo (nelle articolazioni), muscolare (vedi succ.) e tessuto nervoso.
Tutti gli organismi, qualunque sia la loro forma, sono costituiti da cellule. Gli organismi più semplici sono formati da una sola cellula, e per questo vengono denominati "organismi unicellulari. Per esempio tutti i batteri sono degli organismi unicellulari. Invece le piante, gli animali e l’uomo, che sono formati da molte cellule, sono denominati "organismi pluricellulari". Il corpo umano è composto da circa 100 mila miliardi di cellule. I globuli rossi del sangue sono le uniche cellule che non hanno il nucleo.
MUSCOLI DEL CORPO UMANO
I muscoli sono organi deputati al movimento del corpo o di alcune sue parti. Alcuni di essi, conferiscono motilità allo scheletro, altri ad organi di senso o a piccole strutture anatomiche; L'attività muscolare, dunque, non è importante soltanto per la locomozione, ma anche e soprattutto per mantenere svariate funzioni vitali, come la circolazione sanguigna, la respirazione e la digestione dei cibi.
Le cellule dei muscoli hanno la possibilità di contrarsi (ridursi in lunghezza) e di rilassarsi (ritornare alla lunghezza iniziale) in risposta a stimoli di varia natura (nervosa ed ormonale); questo alternarsi coordinato di eventi dà origine al movimento.
La contrazione del muscolo deriva dalla sua capacità di convertire l'energia chimica, resa disponibile dall'idrolisi del ATP, in energia meccanica attiva; una parte non trascurabile di questa energia (45% circa) viene dispersa sotto-forma calore. Pertanto, il muscolo rappresenta anche un'importante fonte di energia termica; pensiamo ad esempio al brivido da freddo: altro non è che una contrazione involontaria e ritmica dei muscoli striati, che avviene con lo scopo di produrre calore ed aumentare, così, la temperatura corporea. La dispersione di calore e tanto maggiore quanto più intensa è l'entità e la durata dell'azione contrattile sviluppata dal muscolo.
Ricordiamo che l'ATP è la molecola energetica del nostro organismo, il risultato finale di tutta una serie di trasformazioni fisico-chimiche operate sul cibo introdotto con la dieta. Le cellule muscolari "bruciano" questi substrati energetici ottenendo energia ma anche prodotti di rifiuto, un po' come la legna da ardere che si trasforma in cenere. Il principale prodotto di scarto dell'attività muscolare è l'acido lattico, la cui produzione è proporzionale all'intensità e alla durata della contrazione. Superato una certa velocità di sintesi, i processi di riciclaggio si saturano, l'acido lattico si accumula nel muscolo e, raggiunta una soglia limite, interferisce con l'attività muscolare provocando la cosiddetta fatica muscolare. Solo dopo un adeguato periodo di riposto (più breve di quello che si pensa) il muscolo ed il sangue vengono efficacemente ripuliti dall'acido lattico.
La muscolatura del nostro organismo è piuttosto complessa, in quanto i muscoli sono moltissimi, disposti a strati e con caratteristiche macroscopiche piuttosto variabili. Per questo motivo è molto difficile quantificare il loro numero (circa 752).
Il tessuto muscolare rappresenta il principale costituente della massa corporeaIn un adulto l’insieme dei vari muscoli costituisce ben il 40% dell'intero corpo umano, superando ogni altro apparato in termini di peso e volume.

STRUTTURA MUSCOLARE

Prima di valutare il processo di contrazione muscolare, analizziamo la composizione del muscolo. Esso è costituito da:· TESSUTO MUSCOLARE
· TESSUTO CONNETTIVO
· NERVI E VASI SANGUIGNI
Partendo dall’esterno troviamo l’
epimisio, ovvero l’involucro del muscolo, che con tutte le fibre in esso contenuto diviene infine corpo unico con il tendine.
Analizzando più a fondo l’epimisio, troveremo le 
miofibre o fibre muscolari, raggruppate in “pacchetti” (fascicoli); questi “sacchi connettivi” sono chiamati perimisio, la cui dimensione sarà relativamente elevata, dato che le stesse miofibre presentano un diametro circa come un capello. La membrana interposta tra fibra e fibra all’interno del perimisio è detta endomisio, il quale è a diretto contatto con la membrana della stessa fibra muscolare sarcolemma



Il vero e proprio apparato contrattile del muscolo è situato nel citoplasma delle fibre muscolari, appena sotto il sarcolemma, ossia nel sarcoplasma; qui sono immerse le miofibrille, a loro volta contenenti i filamenti proteici contrattili actina e miosina, che assieme prendono il nome di sarcomero, esso costituirà pertanto l’entità contrattile vera e propria del muscolo scheletrico.

MIOFIBRILLE E SARCOMERO
Il liquido citoplasmatico interno alle cellule del muscolo è largamente occupato dalle miofibrille, che ne costituiscono la componente contrattile.
Ogni fibra muscolare è formata da circa 1000 miofibrille, avvolte dal reticolo sarcoplasmatico; le miofibrille si estendono per tutta la lunghezza della fibra e sono organizzate in lunghi fasci longitudinali.
Ciascuna miofibrilla ha uno spessore compreso tra 0.5 e 2 µm, per una lunghezza che varia dai 10 a 100 micron (1 micron = 1/1000 di mm.).
Come anticipato, le miofibrille sono circondate dal reticolo sarcoplasmatico, un sistema complesso di vescicole e tubuli che dà origine al sistema sarcotubulare. Lo scopo di questa struttura è di accumulare il calcio necessario per la contrazione.

Entrando sempre più nel microscopico, scopriamo che le miofibrille sono a loro volta composte da miofilamenti paralleli, che sono di due tipi: spessi e sottili. Si può inoltre osservare una caratteristica striatura lungo l'asse maggiore della miofibrilla, dovuta all'alternarsi regolare di bande chiare e scure.
Le bande scure sono dette bande o dischi A
Le bande chiare sono dette bande I
Ciascuna banda A risulta divisa in due da una stria, detta H, posta nella parte centrale
Ciascuna banda I risulta divisa in due da una linea Z
Il tratto di miofibrilla compreso tra due linee Z adiacenti
(1/2 banda I + banda A + 1/2 banda I)
prende il nome di SARCOMERO
Il sarcomero è l'unità strutturale e funzionale della miofibrilla, vale a dire la più piccola unità del muscolo in grado di contrarsi.

All'interno della singola miofibrilla i vari sarcomeri si susseguono uno dopo l'altro, come a formare un'alta pila di cilindri. Nel muscolo, inoltre, le fibre sono disposte parallelamente, in modo tale che i rispettivi sarcomeri risultino allineati. In altre parole, accanto ad una linea Z di una miofibrilla vi è sempre una linea Z della miofibrilla adiacente; questa simmetria fa sì che nel suo insieme, tutta la fibra muscolare appaia striata trasversalmente.

I MIOFILAMENTI
Osservato al microscopio elettronico, ogni sarcomero appare formato da un fascio di filamenti, disposti longitudinalmente e paralleli tra loro. Le componenti di questi miofilamenti sono due proteine, chiamate actina e miosina.
Al centro di ciascun sarcomero è presente circa un migliaio di filamenti spessi, costituiti da miosina. Alle loro estremità, queste molecole proteiche traggono rapporti con filamenti sottili, costituiti da un'altra proteina, l'actina.
In una fibrocellula muscolare di tipo scheletrico questi elementi contrattili (filamenti spessi e sottili) sono posti in registro e sono parzialmente interdigitati (sovrapposti).
Il fascio di filamenti spessi (miosinici) si trova al centro del sarcomero e costituisce la banda A;
Il fascio di filamenti sottili, costituiti dall'actina, si trova ai poli del sarcomero e costituisce le due mezze bande I, che arrivano sino ai dischi Z.

Questa complessa struttura sta alla base della contrazione muscolare, resa possibile dallo scorrimento dei filamenti sottili su quelli spessi.
Durante la contrazione, il sarcomero si accorcia per avvicinamento dei due filamenti Z:
mentre la lunghezza dei filamenti e della banda A rimane invariata si ha una riduzione della banda I e della banda H.
La generalizzazione del fenomeno determina l'accorciamento di miofibrille, delle fibre muscolari, dei fascicoli e dell'intero muscolo. E' interessante notare come ciascun sarcomero possa accorciarsi al massimo fino al 50% della sua lunghezza a riposo.
Durante la contrazione muscolare i ponti actomiosinici sono continuamente formati e sciolti, a patto che sia disponibile una sufficiente quantità di ioni calcio e di ATP; 

La tensione sviluppata da una fibra muscolare è direttamente proporzionale al numero di ponti trasversali che si formano tra filamenti spessi e sottili.
Di conseguenza, un muscolo troppo allungato o troppo contratto sviluppa una forza minore di un muscolo che si contrae partendo da un grado di allungamento ottimale.
(I filamenti di miosina presentano delle appendici che all'arrivo di un impulso nervoso si agganciano ai filamenti di actina creando dei ponti trasversali.)

Relazione lunghezza-tensione nella contrazione muscolare.
La curva tensione-lunghezza si compone di tre curve, una che rappresenta la tensione passiva, una la tensione attiva, e una la tensione totale, la tensione totale si ottiene come somma delle altre due.

La tensione passiva è la forza che si genera nel muscolo quando questo è stirato passivamente; se prendiamo una molla e la tiriamo, noteremo subito che nella molla si accumula una forza, una tensione, e lo si avverte perché, per tenerla stirata, noi stessi dovremmo esercitare una forza, col muscolo è lo stesso, infatti, guardando il grafico la tensione passiva parte da zero e aumenta con l'aumentare della lunghezza, e torna con quanto appena detto. 
La tensione attiva, invece, è la forza che il muscolo è in grado di generare, e il muscolo riesce a sviluppare un massimo di forza solo ad una certa lunghezza, detta l zero, infatti dal grafico si osserva che la forza sviluppata ha un picco a l zero, e cala sia a lunghezze minori che maggiori, questo perché: 
-a lunghezze minori: i sarcomeri sono troppo compressi, e, se si va troppo sotto l zero addirittura i filamenti sottili posti alle due estremità del sarcomero urtano tra di loro e la miosina urta con le strie z
- a lunghezze superiori: il sarcomero è troppo stirato, parte della actina è "fuori dal binario della miosina", ovvero non è sovrapposta alla miosina, quindi non si possono formare alcuni cross bridges. 

MUSCOLATURA LISCIA
Tessuto muscolare liscio è formato da fibre muscolari lisce cioè cellule allungate affusolate alle estremità. Ogni cellula contiene un unico nucleo centrale ed è lunga pochi decimi di millimetri, più grandi di quelle del muscolo scheletrico. Si dice liscio perché le cellule mostrano una struttura quasi uniforme e perché nella cellula non sono presenti sarcomeri o altre unità funzionali. La cellula è attraversata da sottili filamenti, le miofibrille, che sono la parte contrattile della cellula. I muscoli lisci sono involontari, cioè si contraggono senza essere sottoposti al controllo della volontà. Inoltre si contraggono e si rilasciano più lentamente e più a lungo rispetto a quelli striati.

FIBRE “ROSSE E BIANCHE”
Il muscolo è costituito soprattutto da cellule molto allungate, con la forma di una matita temperata alle due estremità; sono le fibre muscolari. Esse sono dotate di una particolare caratteristica: quella di sapersi accorciare e allungare; è la somma dei cambiamenti di lunghezza delle varie fibre che determina la contrazione (accorciamento) o la distensione (allungamento) di un muscolo.
Di queste ne esistono molti tipi in un muscolo: Fibre di tipo I, fibre di tipo II, fibre di tipo IIa, fibre di tipo IIb, fibre di tipo IIc.
Le fibre di un dato muscolo, comunque, non sono tutte uguali le une alle altre: esse differiscono per dimensione, per colore, ma soprattutto per le funzioni.
L’allenamento appropriato riesce a trasformare in parte le caratteristiche delle fibre muscolari; è più facile però che una fibra “pallida” acquisti una maggiore resistenza e diventi più simile a una fibra “rossa”, piuttosto che si verifichi la trasformazione in senso inverso.

FIBRE ROSSE
Le fibre “rosse” sono chiamate anche “di tipo I”, o “lente”, o “STF”.
Esse sono ricche di 
mioglobina, una sostanza che è appunto di colore rosso e che, all’interno della fibra, trasporta l’ossigeno fino ai corpuscoli nei quali viene utilizzato, i mitocondri. L’ossigeno è fondamentale per queste fibre dal momento che esse traggono l’energia quasi esclusivamente dal meccanismo aerobico. E’ per questo che ciascuna fibra rossa è circondata da un numero maggiore di capillari, proprio per favorire l’apporto di ossigeno.
Esse hanno mediamente 
meno forza e meno velocità di contrazione, ma sono dotate di grande resistenza alla fatica.
Gli atleti che eccellono nelle discipline di fondo (i maratoneti, i marciatori, i ciclisti, gli sciatori di fondo…) hanno di solito muscoli nei quali prevalgono le fibre lente.

FIBRE BIANCHE
Le fibre bianche sono dette anche “di tipo II”, o “veloci”, o “pallide”, o “FTF”.
Esse sanno 
accorciarsi rapidamente e sanno estrinsecare valori elevati di tensione alle estremità; contengono poca mioglobina e pochi mitocondri.
Negli scattisti dell’atletica leggera, nei saltatori e in tutti quegli atleti che praticano discipline nelle quali è importante la velocità (e non la resistenza), i muscoli hanno una percentuale di fibre pallide superiore a quella delle fibre rosse.
Nell'ambito delle fibre di tipo II sono rilevabili diverse sottocategorie:

1. Le fibre di tipo IIa (intermedie) sono fibre veloci caratterizzate da adeguata resistenza aerobica ed anaerobica;
2. Di 
tipo IIb veloci anch'esse ma di tipo glicolitico con scarso potenziale aerobico;
3. Di 
tipo IIc veloci ma con una spiccata predisposizione all'uso del metabolismo aerobico, pur con buona capacità glicolitica.


Gambe - quadricipitiprevalentemente INTERMEDIE
Dorsaliprevalentemente BIANCHE
Pettoraliprevalentemente INTERMEDIE
Spalleprevalentemente ROSSE
Bicipitiprevalentemente ROSSE
Tricipitiprevalentemente BIANCHE

Altri muscoli hanno anche una buona percentuale di fibre cosiddette "semitendinose". Tali muscoli sono: femorali, polpacci e avambracci.
A seconda di quali tipi di muscoli, se a fibre bianche, intermedie o rosse si vuole allenare dovremmo scegliere il numero di ripetizioni più appropriato: 6-7 per le bianche, 8-10 per le intermedie e 12-20 per le rosse.
Il riposo tra le serie deve essere lungo (3-4 minuti) per le bianche, moderato (circa 2 minuti) per le intermedie e breve (circa 1 minuto) per le rosse.
Importantissimo anche il recupero tra un allenamento e l'altro perché solo dopo aver recuperato totalmente avviene la fase di crescita. I muscoli a fibre bianche necessitano di un recupero più lungo (5-8 giorni), quelli a fibre rosse di un recupero più corto (2-3 giorni). I muscoli costituiti anche da fibre semitendinose hanno la particolarità di tempi di recupero molto brevi (può bastare anche un solo giorno).

Costituenti del muscolo scheletrico
  • Acqua (circa il 75%)
  • Proteine (circa il 20%). Le più importanti sono la   miosina e l'actina.
  • Glicidi (0,5-1,5%). Il più importante è il glicogeno.
  • Grassi neutri, colesterolo e fosfolipidi.
  • Sali minerali (circa il 5%).
  • Enzimi.
  • Sostanze estrattive azotate (es.: creatina e urea)   e sostanze estrattive non azotate (es.: acido   lattico).
  • Pigmenti (es: la mioglobina)


FASCI PARALLELI E MUSCOLI PENNATI
L’orientamento delle fibre muscolari all’interno del muscolo ne determina la forza e l'ampiezza di contrazione. Rispetto al suo asse longitudinale, le cellule possono disporsi in modo parallelo oppure obliquamente. Tutto ciò, come dicevamo, ha un'enorme importanza nella meccanica muscolare.
Le fibre parallele (fusiforme) all'asse longitudinale del ventre carnoso possiedono una lunghezza ad esso simile e permettono al muscolo un maggiore accorciamento, generando, così, un movimento ampio (maggiore escursione articolare) e veloce.

Le fibre con direzione obliqua hanno, invece, una lunghezza nettamente inferiore a quella del ventre e possono sviluppare una contrazione altrettanto limitata. I muscoli che le contengono sono definiti a fasci obliqui o pennati. Anche se la contrazione è limitata, la “pennazione” permette di compattare un gran numero di fibre in un'area trasversale minore; di conseguenza, il maggior numero di fibre garantisce lo sviluppo di una forza notevole, superiore rispetto a quella generata dai muscoli a fasci paralleli.
Nel corpo umano sono presenti entrambi i tipi di muscolo, ma prevalgono quelli a fasci obliqui. Questi ultimi si possono ulteriormente suddividere in diverse categorie a seconda delle modalità di attacco sui tendini.

TIPI DI MUSCOLI
In base al numero dei punti di origine vengono classificati in:
  • Muscoli monocipiti hanno un solo punto di origine.
  • Muscoli bicipiti hanno due punti di origine.
  • Muscoli tricipiti sono quelli che hanno tre punti di origine.
  • Muscoli quadricipiti hanno quattro punti di origine.

In base al tipo di unione tra fasci muscolari e tendini vengono classificati in:
  • Muscoli cilindrici: hanno un corpo muscolare cilindrico che si fonde con i cordoni tendinei alle estremità
  • Muscoli nastriformi: sono quelli che hanno fasci muscolari organizzati parallelamente fra di loro da una estremità all'altra
  • Muscoli a ventaglio: sono quelli in cui i fasci muscolari divergono in corrispondenza di una estremità e convergono su un tendine di inserzione all'altra estremità
  • Muscoli larghi: hanno un corpo muscolare piatto che si fonde con le aponeurosi alle estremità
  • Muscoli pennati: hanno un tendine centrale sul quale vanno a confluire e a tendersi le fibre muscolari
  • Muscoli semipennati: hanno due lamine tendinee fra le quali sono tese le fibre muscolari
  • Muscoli pluripennati: hanno molti tendini di origine sui quali vanno a confluire e a tendersi le fibre muscolari

In base alla funzionalità possiamo suddividere i muscoli in:
  • Agonisti: concorrono ad una data azione svolgendone il ruolo principale;
  • Antagonisti: svolgono un’azione opposta agli agonisti;
  • Sinergici: muscoli sinergici sono i muscoli che agiscono non isolatamente, ma come componenti di un gruppo muscolare con finalità motorie uniche, nell’esecuzione di un movimento si contraggono nella stessa unità di tempo;
  • Neutralizzatori: sono quelli che si contraggono per neutralizzare l’azione indesiderata di altri muscoli in determinati movimenti articolari;
  • Fissatori o stabilizzatori: bloccano ed immobilizzano un segmento osseo o corporeo per permettere ad un altro muscolo di avere una solida base di appoggio per compiere il proprio movimento (ad esempio, nella flessione dell'avambraccio è necessario che la spalla sia bloccata, altrimenti invece di avere la flessione del gomito si avrebbe l'anteposizione dell'omero);

Un ultima suddivisione dei muscoli estremamente importante per le implicazioni pratiche è quella tra muscoli monoarticolari cioè inseriti su due leve ossee collegate da una sola articolazione e Muscoli Bi- o Pluriarticolari, cioè che incrociano due o più articolazioni.
La mancata conoscenza di questa caratteristica è alla base di una serie di errori in palestra.
Ricordiamoci che quando un muscolo è biarticolare, per essere allenato in maniera completa deve essere sollecitato con movimenti Bi-articolari. L’esempio più frequente è il bicipite brachiale che viene spesso allenato a gomito fisso sul tronco (movimento monoarticolare).
MECCANISMI ENERGETICI
La macchina muscolare per funzionare ha bisogno di energia da trasformare in lavoro meccanico (trasformazione chemiomeccanica), ciò richiede l’attivazione di meccanismi molto complessi.
Come detto, qualsiasi attività cellulare, e principalmente la contrazione, avviene mediante l’utilizzo di energia. L’energia necessaria per questo lavoro viene fornita da molecole di una sostanza detta ATP (adenosintrifosfato). L’input affinché il meccanismo venga innescato spetta all’impulso nervoso, che giunge al muscolo tramite la giunzione neuromuscolare che eccita le membrane che rivestono le miofibrille mediante il rilascio di un neurotrasmettitore: l’acetilcorina.
La rottura del legame che unisce i gruppi chimici che compongono l’ATP fornisce ai muscoli l’energia di cui hanno bisogno per poter funzionare.
Dal momento che la disponibilità di ATP presente nelle cellule è piuttosto scarsa, essa deve essere continuamente ricomposta.


MECCANISMO ANAEROBICO ALATTACIDO (fosforilazione ossidativa)
Il sistema dell’ATP-CP o dei fosfati energetici è utilizzato per attività fino a 8 secondi di durata, in cui l’organismo utilizza quasi esclusivamente le riserve di ATP e di creatina fosfato (CP). La resintesi di ATP avviene a partire dall’ADP (che è un ATP a cui manca un gruppo fosfato), a cui la creatina fosfato dona un fosfato per opera dell’enzima creatina fosfato chinasi (CPK) con produzione di creatinina (che viene eliminata con le urine). La CPK è utilizzata come marker dell’infarto miocardico, ed il motivo è relativo proprio al meccanismo appena descritto: con ridotto afflusso di sangue al cuore, le cellule cardiache lavorano in carenza di ossigeno affidandosi al sistema ATP-CP e incrementando i livelli di CPK.
Il sistema dei fosfati è utilizzato per contrazioni di intensità massimale e molto brevi (ad esempio nel sollevamento pesi e negli sprint), non richiede la presenza di ossigeno e non porta a produzione di acido lattico: per questo motivo le attività fisiche che usano prevalentemente questo sistema possono essere definite anaerobiche alattacide.
MECCANISMO ANAEROBICO LATTACID(Glicolisi anaerobica)
Per attività di durata compresa tra gli 8 ed i 45 secondi, l’organismo utilizza i carboidrati di deposito (glicogeno) per ricavare ATP. Le attività di questo tipo, non protratte generalmente oltre i 60 secondi, sono di intensità tale da richiedere al muscolo di affidarsi alle sue sole scorte energetiche, dunque la glicolisi anaerobica avviene in assenza di ossigeno.
Durante questo processo il piruvato proveniente dalla glicolisi, in assenza di ossigeno, non può entrare nel ciclo di Krebs, e viene convertito in lattato (o acido lattico). L’acido lattico determina un abbassamento del pH nei tessuti e la conseguente sensazione di bruciore che accompagna degli sprint superiori ai 20 secondi di durata o delle serie “lunghe” con i pesi (nel range 6-20 ripetizioni).

(Glicolisi aerobica)
Per attività sostenibili oltre il minuto, l’intensità non è così alta da provocare contrazioni muscolari in grado di inibire il flusso ematico al muscolo, dunque la resintesi di ATP avviene in presenza di ossigeno: per attività inferiori ai 20 minuti di durata, si parla di glicolisi aerobica. Nella glicolisi aerobica il glucosio (proveniente dal glicogeno muscolare ed epatico) viene completamente ossidato ed il piruvato può entrare nel ciclo di Krebs e produrre ulteriore ATP.

MECCANISMO AEROBICO (Lipolisi aerobica)
Per attività di durata superiore ai 20 minuti, l’organismo si affida alla lipolisi aerobica, cioè alle riserve di lipidi da cui ricava gli acidi grassi per produrre ATP.
Il sistema aerobico si sviluppa all'interno dei mitocondri delle cellule. E' il sistema energetico più redditizio, che permette di sfruttare carboidrati, grassi e proteine (adattate) e si presta a sforzi di lunga durata seppur non eccessivamente intesi.
Come anticipato questo sistema energetico è in grado di utilizzare grassi in deposito, ma
generalmente questo non avviene quando l'organismo e' al massimo dello sforzo. Il motivo e' semplice: ricavare energia da una molecola di grasso necessita parecchie trasformazioni chimiche e quindi tempo. E' molto più rapido l'utilizzo dei carboidrati, che vengono trasformati prima.
A livello chimico il sistema aerobico subentra quando vi è ossigeno a disposizione e si inserisce nel processo chimico del sistema anaerobico lattacido inserendo una variante fondamentale.
Nel sistema anaerobico lattacido sappiamo che tra i residui delle reazioni chimiche otteniamo sempre acido lattico. Ebbene, la generazione dell'acido lattico non e' immediata, prima di convertirsi in acido lattico in ambiente anaerobico, questo e' ancora acido piruvico. Ora, se abbiamo a disposizione ossigeno, l'acido piruvico non si trasformerà in acido lattico ma entrerà a far parte di nuove reazione chimiche in un Ciclo di Krebs che porterà, dopo lunghe e diverse trasformazioni, appunto alla produzione di ATP.


Maggiore è lo sforzo, maggiore è la velocità con cui il muscolo deve produrre ATP, minore è la quantità di grassi utilizzata per produrre tale energia, e maggiore è quella di carboidrati. In una corsa lenta l'energia necessaria è ottenuta bruciando carboidrati e grassi circa in egual misura, mentre in una corsa ad andatura sostenuta la percentuale di grassi può scendere parecchio (vedi FC in “Valutazioni e misurazioni”).

ACIDO LATTICO
L’acido lattico è un sottoprodotto del metabolismo anaerobico. Si tratta di un composto tossico per le cellule, il cui accumulo nel torrente ematico è correlato alla comparsa della fatica muscolare. Tutti gli atleti che praticano sport di potenza sanno di cosa stiamo parlando, quella sensazione di bruciore intenso che impedisce ogni ulteriore contrazione muscolare.
Una volta prodotto, l’acido lattico, si diffonde nel flusso sanguigno che lo trasporta al cuore, al fegato e ai muscoli inattivi, dove viene riconvertito in glucosio, ed è uno sbaglio pensare che sia un composto derivante solo ed esclusivamente da uno sforzo atletico, infatti il lattato viene prodotto già a partire da basse intensità di esercizio; i globuli rossi, per esempio, lo formano continuamente anche in condizioni di completo riposo.
Quando l’intensità dell’esercizio aumenta, nei muscoli si accumula sempre di più acido lattico, che il sangue deve riuscire ad eliminare, se si mantiene alto questo livello di intensità si raggiunge la soglia del lattato, praticamente il livello di acido lattico nel sangue è maggiore di quello che l’organismo è in grado di metabolizzare.
Come detto in precedenza, l’acido lattico è un prodotto tossico, l’organismo però ha delle valide difese che gli permettono di fronteggiare questa tossina, è in grado infatti di riconvertire l’acido lattico in glucosio, ed inoltre basti pensare che il cuore metabolizza l’acido lattico a scopo energetico.
Precisamente: il 65% dell’acido lattico viene convertito in anidride carbonica e acqua, il
20 % viene convertito in glicogeno, il 10% in proteine ed il 5% in glucosio.
La quantità di acido lattico prodotta durante un esercizio muscolare è inversamente proporzionale al grado di allenamento del soggetto. Ciò significa che un soggetto non allenato produce più acido lattico rispetto ad un soggetto allenato.
L’acido lattico inizia ad accumularsi nei muscoli e nel sangue quando la velocità di sintesi supera la velocità di smaltimento, viene smaltito nel giro di 2 o 3 ore, e la sua quantità si dimezza ogni 15-30 minuti a seconda dell’allenamento e della quantità di acido lattico prodotto.
Questa sostanza rappresenta, inoltre, un forte stimolo per la secrezione di ormoni anabolici come il GH ed il testosterone.
Sfatiamo una leggenda metropolitana: il dolore muscolare che si avverte il giorno dopo un allenamento intenso, non è dovuto all’acido lattico, ma da microlacerazioni muscolari che originano processi infiammatori; inoltre vi è un incremento delle attività ematiche e linfatiche che aumentano la sensibilità nelle zone muscolari maggiormente sollecitate.
Tale fenomeno sarà approfondito nel paragrafo che segue.



D.O.M.S (DELAYED ONSET MUSCLE SORENESS)
Provare dolore non è affatto una piacevole sensazione. Le persone cercano in tutti i modi di evitarlo, e una volta insorto di scacciarlo con tutti i metodi possibili.
Esiste un tipo di dolore che molti assidui utilizzatori di manubri e bilancieri cercano invece ogni giorno, e quando insorge porta  gioia nelle loro menti: ci riferiamo ovviamente ai Delayed Onset Muscle Soreness, indolenzimento muscolare ad insorgenza ritardata.
Il giorno dopo una dura seduta di allenamento il nostro corpo manda al cervello un messaggio nemmeno troppo velato: “hai svolto un allenamento al di sopra delle tue capacità”. Sì, perché i DOMS sono semplicemente una risposta fisiologica del nostro organismo ad un’intensità di allenamento al quale non è abituato.
Questi dolori si manifestano di solito intorno alle 24-48 ore successive l’allenamento e possono perdurare anche per diversi giorni.
L’idrossiprolina è un aminoacido non essenziale contenuto quasi esclusivamente nel collagene, ovvero il principale componente della sostanza ossea ma è anche abbondante nel muscolo.
In alcune condizioni d'allenamento (allenamento troppo duro o dopo lunga sospensione dell'attività fisica) si producono piccolissime lesioni (microtraumi) delle strutture muscolari che riguardano, in particolare, le strutture connettivali secondarie. 

L'idrossiprolina è uno degli aminoacidi che versa negli spazi interstiziali proprio in seguito ai microtraumi e perciò si formano delle piccole ed abbondanti goccioline all'interno delle cellule muscolari. In 24/48 ore l'idrossiprolina raggiunge una quantità di terminazioni nervose sufficienti a dare un dolore profondo e talvolta quasi paralizzante chiamato indolenzimento muscolare a comparsa ritardata. L'idrossiprolina è assai corrosiva per le terminazioni nervose.
Ciò non implica che se il giorno successivo ad un workout non si accusano dolori di questo genere non si è allenati bene.
I DOMS non sono dolori che tutti sistematicamente avvertiamo dopo un duro WO. C’è chi li avverte in maniera molto intensa, chi più leggera e chi non li avverte in alcun modo. Dipende semplicemente dal grado di allenamento del soggetto in questione. Se un atleta si allena faticosamente 4-5 volte a settimana usando carichi pesanti e il giusto numero di ripetizioni non è detto che avverta gli stessi dolori di chi invece si allena due volte a settimana. Questo perché essendo più allenato ha un corpo più abituato alla fatica tipicamente prodotta da un allenamento anaerobico.
Se il dolore si dovesse protrarre ad di là di 2/3 giorni, a questo punto si potrebbe pensare a qualche errore nella metodologia di allenamento, non per forza ad un eccessivo carico di lavoro. Anche uno scarso riscaldamento, un eccessivamente blando defaticamento o anche qualcosa di più serio (contusione, strappo o stiramento) può portare a dolori nei giorni seguenti l’ultimo workout.
Malcostume voglia che chi si allena e sente dolore dia immediatamente colpa all’acido lattico. Questo è un errore che non dovrebbe essere più commesso.
La produzione di acido lattico è tipica di una allenamento di tipo anaerobico. Una sua eccessiva produzione  porta degli indolenzimenti, ma questo è un evento solamente transitorio, infatti già dopo qualche ora dal termine dell’allenamento, esso viene completamente smaltito dal nostro organismo e non è dunque la causa dei dolori nei giorni successivi l’allenamento.
Diversamente si tratta di Indolenzimento muscolare a insorgenza acuta (acute-onset muscle soreness), è percepito durante e/o immediatamente dopo l'allenamento anaerobico con un senso di bruciore. Questo tipo di indolenzimento transitorio è legato direttamente all'eccesso di acido lattico tipico dell'allenamento anaerobico alattacido. Questo evento è transitorio dal momento che l'acido lattico viene smaltito dal corpo al massimo entro 60 minuti dal termine dell'attività
Concludendo ribadiamo che i DOMS:
- sono dovuti a lacerazioni del tessuto muscolate;
- si manifestano tra le 24-48 h successive l’allenamento;
- non avvertirli non significa essersi allenati nella maniera scorretta;
- non sono in alcun modo collegati all’acido lattico.

ELASTICITA’
La flessibilità è un concetto che si riferisce alle articolazioni, mentre l'elasticità si riferisce ai muscoli.
La flessibilità è a soglia (un certo movimento è possibile o meno), mentre l'elasticità permette che un certo movimento sia più o meno ampio (o performante).
Mentre la potenza e la forza muscolare sono caratteristiche facilmente evidenziabili, una delle caratteristiche meno considerate è l'elasticità.
Esistono varie forme di elasticità. Quella statica  rappresenta l'ampiezza del movimento, a prescindere dalla velocità dello stesso. In realtà è fortemente condizionata dalla flessibilità delle articolazioni. L'elasticità balistica è invece associata all'ampiezza del movimento ottenuta aumentando al massimo la velocità del gesto (come nei salti). L'elasticità dinamica è intermedia fra le due, considerando l'ampiezza del movimento a una velocità normale. La differenza essenziale fra elasticità balistica e dinamica è che con la prima il rischio di traumi è decisamente superiore.
È stato dimostrato che l'elasticità è una caratteristica del gruppo muscolare, non dell'intero individuo. Un soggetto può avere i polpacci elastici, ma le braccia no.
A differenza della forza e della resistenza, attualmente non si conoscono forme di doping in grado di migliorare significativamente l'elasticità. A livello di integrazione si sottolinea l'importanza di alcuni aminoacidi (glicina e prolina e, in misura minore, metionina e valina) nel supporto alle strutture elastiche. Resta comunque l'esercizio fisico il miglior modo di migliorare o conservare l'elasticità. Lo stretching è sicuramente una delle strade prioritarie (vedi: tecniche di allenamento nel BB).

IPERTROFIA MUSCOLARE
Prima di parlare dei metodi di allenamento per aumentare lo sviluppo muscolare vediamo di dare una definizione a due diversi concetti, ipertrofia e iperplasia.
Ipertrofia muscolare: si intende l'aumento di dimensione delle cellule che compongono un tessuto. Si tratta di un evento che riguarda esclusivamente la dimensione delle singole cellule (non il loro numero) ma che presenta conseguenze per l'intero organo di cui le cellule fanno parte;
Iperplasia muscolare: aumento di volume del muscolo conseguente all'aumento numerico delle cellule che lo compongono. Esempi di iperplasia fisiologica sono la proliferazione dell'epitelio ghiandolare della mammella durante la pubertà e la rigenerazione del fegato dopo danno epatico esteso;
Con il termine Atrofia o Ipotrofia si indica un processo regressivo caratterizzato dalla totale scomparsa (atrofia) o dalla diminuzione del volume (ipotrofia) di un organo rispetto al volume già raggiunto”.
Ipoplasia: indica la diminuzione del volume di un organo per difetto di sviluppo, cioè le dimensioni normali non sono mai state raggiunte.
Aplasia o Agenesia indica l’assenza di un organo per mancata formazione.
Quindi l’ipotrofia è un difetto acquisito mentre l’ipoplasia e l’aplasia sono difetti congeniti.

Gli stimoli che innescano i processi di crescita muscolare sono due: la tensione meccanica e la fatica metabolica.
Tensione meccanica: un muscolo che si contrae per vincere una resistenza che tende ad allungarlo è sottoposto ad una tensione; questa tensione viene registrata a livello cellulare e provoca una risposta ipertrofica. Ovviamente, maggiore è la tensione muscolare, maggiore è la risposta ipertrofica, a patto che la tensione sia ripetuta un numero sufficiente di volte.

Questo spiega perché un 3×3 al 90% del massimale sia meno “ipertrofico” di un 10×3 all’80% (10 serie da 3 ripetizioni): la tensione meccanica del 3×3 è intensa ma troppo fugace. Si capisce anche come mai le fasi di accumulo dei programmi di forza portino spesso come (piacevole) effetto collaterale un aumento di massa magra: sottopongono i muscoli ad una discreta tensione meccanica, per un numero di volte sufficienti (si veda, ad esempio, la fase di accumulo del Korte 3×3, abbastanza “famosa” per regalare qualche chiletto di massa qua e là).

Fatica metabolica: durante la contrazione muscolare i vasi sanguigni vengono occlusi, quindi il muscolo lavora in assenza di ossigeno; se la serie è sufficientemente lunga (più di 12-15 secondi) si avrà produzione di acido lattico, e questo genera una serie di reazioni chimiche a cascata, che innescano i fattori di crescita muscolare.

Ipertrofia muscolare transitoria:
L'ipertrofia è detta transitoria quando è rappresentata da un rigonfiamento immediato del muscolo durante una seduta di allenamento. Questo aumento è dovuto all'accumulo di fluidi negli spazi interstiziali ed intracellulari, i quali causano un edema per danneggiamento delle miofibrille o del tessuto connettivo. Circa un'ora dopo l'attività fisica i fluidi rifluiscono nel sangue e le dimensioni del muscolo diminuiscono; ritenzione idrica per esempio in conseguenza all'utilizzo di creatina.

Ipertrofia muscolare cronica:
Aumento del volume (ipertrofia) e del numero delle cellule muscolari (iperplasia), grazie allo stimolo ormonale e all'aumentato apporto e ritenzione di ossigeno e nutrienti. 

L’allenamento con i pesi per ottenere l’ipertrofia deve essere mirato.
Con carichi non adatti si rischia di allenare altre caratteristiche per esempio la potenza con carichi eccessivi o la forza-resistenza con carichi troppo leggeri.
L’ipertrofia o forza massimale ipertrofica si ottiene con un allenamento che corrisponde a circa il 70-85% del proprio massimale.
Il massimale a sua volta corrisponde al carico utilizzato per una sola ripetizione. In altre parole il carico da utilizzare ci deve permettere di effettuare tra le 8-10 ripetizioni e non di più, se sentite di poter continuare con le ripetizioni significa che dovete incrementare il peso, in genere del 5-10%.
Questo si applica ovviamente ai grandi esercizi (per esempio alla panca piana e non alle croci, alla pressa e non alla leg extension). Per gli esercizi minori o secondari e meglio stare sulle 10-12 ripetizioni.
La velocità di esecuzione deve essere elevata e controllata per quanto consentito dal peso e dal numero delle ripetizioni.
Il recupero tra due serie deve essere compreso tra 1 e 2 minuti per i grandi gruppi muscolari, per le gambe di 3 minuti, questo ovviamente dopo l’esecuzione di grandi esercizi. Se eseguite le croci per i pettorali sarà sufficiente 1 minuto di recupero. Per tutti gli esercizi minori è sufficiente 1/1 ½ minuto di recupero tra le serie. Anche se c’è chi sostiene che il recupero tra due serie deve essere di 1 minuto per tutti gli esercizi in quando ci sarebbe un incremento della produzione dell’ormone della crescita (GH) dovuto ad un accumulo di lattato.
Cercate di curare il più possibile l’esecuzione e concentratevi anche sul muscolo che sta lavorando, dovete sentire le contrazioni per quanto possibile. Prendete il controllo di ogni sezione muscolare e articolare del vostro corpo.
E’ importante allenare tutte le caratteristiche fisiche (forza esplosiva, forza alla resistenza, potenza…) durante l’anno.


INTERMEDI
AVANZATI
CARICO
Dal 50% al 60% di RM
Dal 70% al 90% di 1 RM
RIPETIZIONI
8-14
8-12
SERIE
3
3-4
ATTREZZI
Macchine e pesi liberi
Prevalenza pesi liberi
ESERCIZI
Prevalenza poliarticolari
Prevalenza poliarticolari
RECUPERO
1’-2’
1’-3’
SEDUTE
3-4 settimanali
4-5 settimanali


IPERTROFIA FUNZIONALE
Alcuni aspetti funzionali del muscolo ipertrofico (esempio del muscolo Bicipite brachiale)
Un muscolo ipertrofico esprime più forza nella fase iniziale del movimento in quanto il braccio di leva (d) delle fibre periferiche è più favorevole (Fig. 2a).
In fase di massima flessione avviene il contrario a causa della forma sferica del muscolo che disperde le forze verso l’esterno. Inoltre la notevole massa muscolare impedisce di effettuare il movimento completo (Fig. 2b).
Se a questo si aggiunge un tipo di lavoro muscolare che nel tempo ha retratto i muscoli si riduce ulteriormente la capacità di escursione sia in estensione (Fig. 2a, accorciamento del Bicipite brachiale e degli altri flessori dell’avambraccio) che in flessione (Fig. 2b, accorciamento del Tricipite, estensore dell’avambraccio).
La minore estensibilità muscolare influisce negativamente anche sulla possibilità di esprimere movimenti più ampi e veloci.





PREGI E LIMITI DELL’ALLENAMENTO MIRATO ALL’IPERTROFIA MUSCOLARE
VANTAGGI
- L’incremento della superficie trasversa del muscolo, se conseguente all’allenamento della forza massima, è proporzionale all’aumento di quest’ultima.
- Nella prima parte del movimento articolare, grazie al braccio di leva più favorevole per le fibre intermedie ed esterne, consente di esprimere maggiore forza.
- Grazie all’aumento della viscosità muscolare (attrito tra le fibre muscolari) consente di esprimere più forza nel lavoro eccentrico (cedente).
- Un periodo di lavoro muscolare che comporti anche un aumento dell’ipertrofia può risultare utile in atleti che necessitano di acquisire un maggiore peso corporeo “attivo”.
SVANTAGGI
- L’aumento degli attriti interni limita la possibilità di espressione veloce della forza, della rapidità e velocità dei movimenti.
- Un eccesso di trofismo riduce la possibilità di massima escursione del movimento nella fase in cui i due segmenti corporei sono in atteggiamento breve.
- Un periodo di lavoro muscolare che comporti anche un aumento del trofismo può creare problemi in atleti che si trovano ai limiti della categoria di peso di appartenenza.
    Pur essendo le fibre a contrazione rapida quelle che si ipertrofizzano maggiormente, allo scopo di stimolare il muscolo in tutte le possibili componenti anatomiche (mitocondri, capillari, sarcoplasma, tessuto connettivo, depositi energetici, ecc.), si possono utilizzare diverse fasce di carico. La fascia di intensità relativa deve essere tale da consentire l’effettuazione di 6-12 ripetizioni e va scelta anche in relazione alle caratteristiche dei gruppi muscolari interessati. Solitamente per i muscoli antigravitari (muscoli posturali o tonici, a più elevato contenuto di fibre rosse o lente, si privilegia una resistenza più bassa che permette più ripetizioni), mentre per i muscoli fasici (a più elevato contenuto di fibre bianche o veloci) si utilizza generalmente una resistenza più alta che permette poche ripetizioni (Tabella).
CARATTERISTICHE ANATOMICHE E FUNZIONALI DEI MUSCOLI TONICI E FASICI
MUSCOLI DEL GRUPPO TONICO
MUSCOLI DEL GRUPPO FASICO
  • Hanno funzione di sostegno (posturali).
  • Si affaticano tardivamente.
  • Contengono più fibre muscolari rosse (lente).
  • Si contraggono più lentamente.
  • Reagiscono al carico errato con accorciamento e con peggioramento funzionale.
  • Hanno fibre muscolari più corte e sono per lo più penniformi.
  • Sono localizzati più profondamente e più medialmente.
  • Generalmente appartengono al gruppo degli estensori le cui funzioni comprendono anche l’abduzione e la rotazione esterna.
  • Sono più forti di circa 1/3.
  • Esprimono la massima potenza a velocità di contrazione moderata.
  • Se inattivi divengono più lentamente deboli.
  • Tendono ad accorciarsi a causa della continua tensione a cui sono sottoposti.
  • Hanno funzione di movimento.
  • Si affaticano precocemente.
  • Contengono più fibre muscolari bianche (rapide).
  • Si contraggono più rapidamente.
  • Reagiscono al carico errato con indebolimento e peggioramento funzionale.
  • Hanno fibre muscolari più lunghe e sono per lo più fusiformi.
  • Sono localizzati più superficialmente e più lateralmente.
  • Generalmente appartengono al gruppo dei flessori le cui funzioni comprendono anche l’adduzione e la rotazione mediale.
  • Sono più deboli.
  • Esprimono la massima potenza a velocità di contrazione elevata.
  • Se inattivi divengono più rapidamente deboli.
  • Tendono ad allungarsi con l’inattività.

Anche se non ancora definitamente provato dalle ricerche scientifiche (C.Bosco), l’esperienza pratica suggerisce che la produzione di acido lattico favorisce i processi ormonali legati alla sintesi proteica (secrezione di GH e liberazione di Somatomedine, potenti amplificatori del turnover proteico).
Sulla base delle attuali conoscenze, desunte dalla letteratura scientifica internazionale, si può affermare che:
1- sono senz’altro le 
fibre a contrazione rapida quelle che si ipertrofizzano maggiormente anche se un contributo in tal senso viene da tutte le componenti muscolari (mitocondri, capillari, sarcoplasma, tessuto connettivo, depositi energetici, ecc.);
2 – un impegno ad 
alta intensità, con conseguente marcata demolizione dei fosfati, comporterebbe la liberazione di metaboliti (aminoacidi e peptidi) attivanti la sintesi proteica;
3 – un impegno ad alta intensità sollecitando fortemente il meccanismo glicolitico (prevalentemente la potenza dello stesso), aumenterebbe la 
secrezione di GH, ormone anabolizzante per eccellenza;
4 – un impegno protratto “ad esaurimento” provocando lesioni a carico delle proteine contrattili, del tessuto connettivo e del sarcolemma (la membrana che avvolge la fibrocellula muscolare) stimolerebbe attraverso diversi meccanismi (somatomedine, acido arachidonico, ecc.) 
la sintesi proteica;
5 – un impegno con le caratteristiche di cui sopra potrebbe innescare il processo di maturazione delle fibrocellule satelliti (cellule allo stato embrionale).

Il recupero ottimale tra un allenamento e l’altro, inteso come stimolo dello stesso gruppo muscolare, si aggira intorno alle 36-48 ore e, comunque, non deve essere inferiore alle 36 ore circa. Pertanto lo schema di allenamento settimanale, che può prevedere una seduta giornaliera (split) o anche due sedute giornaliere di allenamento (doppio split), va organizzato in modo tale da garantire il completo recupero e l’ottimale supercompensazione proteica delle masse muscolari.
-A causa del notevole stress a cui è sottoposta la muscolatura, per mantenere una buona estensibilità e lunghezza ottimale, è opportuno eseguire sempre gli esercizi per tutta l’escursione articolare possibile.
La modalità con cui vengono eseguiti i movimenti può, nel tempo, modificare le 
caratteristiche strutturali del muscolo. Infatti, per la legge della plasticità muscolare di Borelli e Weber Fick, essendo la lunghezza delle fibre muscolari proporzionale all’accorciamento che possono esprimere, ne consegue che l’ampiezza del movimento (accorciamento e stiramento del muscolo) condiziona la lunghezza del ventre muscolare e viceversa. Pertanto la sistematica escursione articolare incompleta provoca, nel tempo, l’accorciamento delle fibre, mentre l’escursione completa ne provoca l’allungamento (Figura).
Quindi, per mantenere la ottimale lunghezza ed estensibilità muscolare, vanno privilegiati i movimenti ampi su tutta l’escursione articolare aggiungendo sempre, a fine allenamento, alcuni esercizi di stretching. 
Ampiezza di lavoro del muscolo e modificazione fisiologica a riposo (esempio dei muscoli flessori dell’avambraccio):

a) Accorciamento e stiramento completi: il ventre muscolare diventa più lungo ed i tendini più corti. A riposo la lunghezza rimane invariata.
b) Accorciamento completo e stiramento incompleto: il ventre muscolare diventa più corto ed i tendini rimangono invariati. A riposo la lunghezza diventa più corta.
c) Accorciamento incompleto e stiramento completo: il ventre muscolare diventa più corto ed i tendini più lunghi. A riposo la lunghezza aumenta.
d) Accorciamento e stiramento incompleti: il ventre muscolare diventa decisamente più corto ed i tendini più lunghi. A riposo la lunghezza diventa più corta.

ANABOLISMO E CATABOLISMO
Il nostro organismo, durante uno sforzo o uno stress eccessivo, entra in catabolismo. Di conseguenza durante i nostri workout ci troviamo nei meandri del catabolismo muscolare. Avviene la distruzione delle proteine, pietre della nostra struttura muscolare e non solo. Sembra una grave minaccia, ma non è così. In questa fase si distruggono molecole e si ha un aumento dell'attività degli ormoni catabolici. Il più famoso e temibile per chi pratica l'allenamento con i pesi è il cortisolo, prodotto dalla ghiandola surrenale. 
Il cortisolo è un ormone di tipo steroideo, derivante cioè dal colesterolo, ed in particolare appartiene alla categoria dei glucocorticoidi, di cui fa parte anche il corticosterone (meno attivo). La sua azione principale è quella di contrastare le infiammazioni, in quanto il cortisolo ha una azione anti-immunitaria: questo è il motivo per cui molti farmaci anti-infiammatori si basano sull'utilizzo di questo ormone. 
Inoltre, durante il catabolismo, diminuisce anche il valore ematico del testosterone che ha funzioni anaboliche. Dopo i nostri workout, invece, il nostro organismo entra subito nella fase anabolica, inizia subito la fase di ricostruzione, perciò è importante il pasto post-workout. Tutto quel che viene ingerito (sarebbe opportuno un cocktail equilibrato di proteine e carboidrati) è utilizzato per la fase anabolica. Il famoso over-training o sovrallenamento non è nient'altro che il prevalere degli ormoni catabolici su quelli anabolici.
Sebbene l'anabolismo e il catabolismo siano due processi contrari, funzionano in maniera coordinata e armonica e costituiscono un tutto unico difficile da separare.
La fase anabolica porterà alla supercompensazione che verrà illustrata nel paragrafo successivo.

LA SUPERCOMPENSAZIONE
Quando l'organismo è sotto attacco da parte di agenti stressanti, è possibile che possa sviluppare delle difese che lo possano rendere più resistente agli attacchi di quei particolari agenti stressanti.
Nel pensiero comune, l'incremento delle proprie difese si associa generalmente alle malattie. Anche l'allenamento però rientra nella categoria degli agenti stressanti, ed in questo caso aumentare le difese e diventare più resistenti vuol dire aumentare la propria performance.
Il processo attraverso il quale, l'organismo umano incrementa le proprie difese (incrementa la performance), si chiama supercompensazione.

Guardando il grafico, si identificano tre fasi:

FASE DI CONSUMO DELLE ENERGIE
Coincide con la performance fisica. Se l'allenamento sportivo rispetta i principi di intensità e durata adeguati, il consumo di  energie è tale da portare all'insorgere della fatica. La fatica porta al peggioramento della performance.
Il grafico spiega in modo schematico quello che avviene all'organismo:
si parte da un livello di energia iniziale, poniamolo uguale a 100;
durante la performance sportiva (allenamento), si verifica un consumo delle energie.
Il livello di energia scenderà più o meno a seconda dell'impegno richiesto dalla performance e per tutta la durata della performance stessa;La fatica è determinata sia dall'esaurimento delle riserve energetiche ma anche dall'accumulo di metaboliti nei tessuti dell'organismo (in particolare l'acido lattico);

GFASE DEL RECUPERO DELLE ENERGIE
Terminata la performance, grazie alla corretta alimentazione e al riposo, l'organismo tenderà a ristabilire l'equilibrio: ma non il livello iniziale, infatti è stimolato a ripristinare un livello di energie superiore a quello che aveva in precedenza, prima ancora di ricevere l'attacco dell'agente stressante.

FASE DELLA SUPERCOMPENSAZIONE
Questa è la fase di supercompensazione vera e propria, è una forma di difesa dell'organismo verso gli stimoli esterni. Porta il livello iniziale di energia a livelli superiori rispetto ai livelli che normalmente si avevano prima dell'allenamento. In questo modo, il livello di energia di partenza sarà più elevato rispetto a prima: si ottiene un adattamento che provoca il miglioramento delle qualità che l'allenamento sportivo ha stimolato: si ha il miglioramento della prestazione.
E' in questo modo che agisce il carico di allenamento.
La supercompensazione è un meccanismo di difesa che l'organismo mette in atto per reagire ad uno stress (l'insieme degli stimoli allenamenti).
La supercompensazione avrà i suoi tempi di recupero. Il recupero tra gli allenamenti è molto variabile e può dipendere da questi fattori: 
1. Età del soggetto 
2. Tipo di allenamento svolto dal soggetto 
3. Situazione esterna del soggetto 
4. Alimentazione ed integrazione

LA RESPIRAZIONE
I muscoli, per funzionare, hanno bisogno che venga apportata una certa quantità di ossigeno nelle cellule che li compongono affinché possa avvenire la respirazione cellulare che produce le molecole di ATP, che sono una specie di riserva di energia che viene adoperata dalle fibre muscolari quando si devono contrarre. Ovviamente, per far arrivare l'ossigeno nel corpo, c'è bisogno della respirazione e questo spiega la sua importanza quando si fanno esercizi fisici.
Di solito gli istruttori consigliano di inspirare durante la fase di scarico ed espirare durante la fase di carico.
Questo metodo, ben collaudato, generalmente funziona bene anche se all'inizio il principiante percepirà questa pratica come un ulteriore vincolo che può confonderlo. In realtà, forzarsi a controllare la respirazione in questo modo presuppone una buona dose di concentrazione e quindi mette l'atleta nella giusta condizione di attenzione massima a ciò che sta facendo.

Trattenere il respiro durante la fase di carico è un errore molto diffuso perché è istintivo trattenere il fiato durante il massimo sforzo; questo sforzo effettuato a glottide chiusa è denominato “manovra di Valsava”. Invece è proprio il contrario di ciò che si deve fare perché questa pratica può portare anche a gravi conseguenze, soprattutto se lo sforzo coinvolge muscoli della parte superiore del corpo. Trattenere il fiato, quindi bloccare intenzionalmente la glottide, porta a una compressione delle vene dovuta a un aumento della pressione all'interno della cassa toracica. Per effetto della compressione, le vene possono anche occludersi parzialmente e ciò rallenta notevolmente il ritorno del sangue venoso al cuore. Come conseguenza la pressione arteriosa sale, arrivando anche a valori impressionanti come 300 mmHg (contro i 120 a riposo).
Inoltre, come conseguenza del ridotto apporto di sangue al cuore, anche il sangue in uscita rallenta e si riduce, diminuendo l'apporto di sangue e ossigeno agli organi periferici che possono soffrirne. In particolare, una minore irrorazione del cervello potrebbe dare come conseguenza capogiri, visione offuscata ecc. fino ad arrivare a “vedere nero” e a svenire.

EPOC E DEBITO DI OSSIGENO
Durante l'allenamento, quando l'energia viene fornita attraverso i meccanismi anaerobici, all'interno dell'organismo si crea un deficit di ossigeno.
Nel post training dunque la captazione di O2 rimane sopra ai livelli iniziali la seduta di training, con una durata che varia in base all'intensità ed alla durata dell'esercizio stesso.
Ciò spiega l'iperventilazione, cioè il fiatone, che si ha alla fine di un'attività fisica a ritmo relativamente elevato.
Questo debito di ossigeno, prende il nome di 
EPOC (Excess Postexercise Oxygen Consumption).
L'EPOC costituisce la captazione di ossigeno, con valori superiori a quelli di riposo, ed ha come obiettivo il riportare l'organismo in condizioni di pre-training.
Questo consumo di  ossigeno è elevato a causa del rilascio di catecolamine, all'aumento della funzione cardiaca e polmonare, dalla rimozione del lattato prodotto, per contribuire a ripristinare i processi metabolici a livelli basali.
Dunque possiamo considerare l'EPOC come lo squilibrio che si viene a creare attraverso l'esercizio fisico dove il suo valore risulta maggiore quando l'esercizio diventa più impegnativo, con un'intensità di lavoro vicino alla VO2max.
Più EPOC prodotto, si traduce in maggior debito che l'organismo dovrà colmare, attraverso un recupero che farà bruciare più calorie.
L'EPOC è bifasico, di cui la prima detta "rapida" (di 1 ora circa il post-training) serve a ripristinare i processi biochimici e ad eliminare il lattato prodotto. La seconda denominata "prolungata", dura alcune ore e sembra attivi il metabolismo dei grassi.

DEBITO DI OSSIGENO DI TIPO LATTACIDO
Il debito di ossigeno lattacido invece riguarda la quantità di ossigeno che servirà a produrre quell'energia da utilizzare per trasformare il piruvato in glucosio attraverso il processo "inverso" della glicolisi: la glucogeneogenesi. Questa seconda fase sarebbe la cosiddetta fase lenta del pagamento del debito di ossigeno ed è presente esclusivamente per sforzi particolarmente intensi. E' notevole il fatto che in soggetti abituati agli allenamenti di resistenza, il consumo di ossigeno aumenta più rapidamente durante la fase iniziale dello sforzo, diminuendo così l'entità del debito di ossigeno da pagare successivamente. I soggetti allenati alla resistenza,infatti, recuperano più velocemente rispetto a soggetti non allenati.

DEBITO DI OSSIGENO DI TIPO ALATTACIDO
Corrisponde all'ATP consumato nel corso di uno sforzo fisico di breve durata. ATP che si trovava nel muscolo o che è stato formato attraverso il metabolismo anaerobico alattacido. Tipico debito di ossigeno alattacido viene contratto dopo uno scatto di pochi metri. Se dopo lo scatto si fa una pausa, il debito viene pagato immediatamente: viene fornito l'ossigeno che attraverso il metabolismo aerobico, ricostruisce la scorta di ATP e di fosfocreatina nei muscoli.
Rispetto al debito di ossigeno di tipo lattacido, il pagamento del debito di ossigeno alattacido è molto più rapido: Negli individui non allenati può essere intorno ai 30 secondi, mentre in soggetti allenati anche molto inferiore.








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